E’ sempre una grande gioia, per noi appassionati di questa splendida terra e dei suoi vini unici, figli di un’uva straordinaria che qui si esprime al meglio come il Nebbiolo (che qui chiamano Chiavennasca), scoprire la nascita, in
Valtellina, di una nuova etichetta. Di un nuovo vignaiolo che accetta la dura legge della “viticoltura eroica”, quella rappresentata dagli impervi terrazzamenti, dalle vigne scoscese, dalle ore di lavoro in vigna che sono il doppio rispetto a quelle in pianura o semplice collina, e decide di non cedere le uve a qualche altro produttore ma di lavorarle in proprio trasformandole orgogliosamente in vino.
Prodotto in piccoli quantitativi, non facile da trovare, ma destinato ad un consumatore esigente che anche nei particolari vini valtellinesi è alla ricerca del vino più particolare, più autentico, che maggiormente trasmetta quei particolari aromi, quella mineralità, quel sale, che solo la viticoltura di montagna sa dare.
Devo ringraziare
Stefano Sarfati, attento selezionatore e distributore di vini di vignaioli che hanno scelto la filosofia dei vini naturali, dei vin de terroir con fermentazioni spontanee, senza uso di diserbanti e concimi chimici, per avermi fatto conoscere l’azienda agricola Dossi Retici di Montagna in Valtellina di Elena Meago ed il lavoro, tenace, del vignaiolo part time (al mattino lavora a scuola) Bruno Credaro, che si è tradotto in un vino,
Stabia, che potrebbe essere commercializzato come
Valtellina Superiore Grumello, ma che per semplificare e avere meno complicazioni con la burocrazia vitivinicola si è scelto di declassare a
IGT Terrazze Retiche di Sondrio.
Credaro non ama le cose ordinarie e se è necessario imboccare una via più complicata, se esistono veramente le ragioni, non esita a farlo. Le sue vigne sono a ritocchino, piantate nel senso del pendio e non a giropoggio, come sarebbe più facile, predisposti, i filari, “in direzione nord-sud per sfruttare la luce solare e hanno un'inclinazione nord-est di circa un'ora di sole (circa 30°) per avere più calore al mattino e meno al pomeriggio”.
E poi, perché la qualità del lavoro in vigna, prima ancora di quello in cantina, è ritenuto fondamentale, i vigneti, posti sul versante retico a quota 400-500 metri, su terreno limoso, sabbioso sciolto di tonalità rossiccia, sono inerbiti e con l’erba sfalciata (senza diserbo chimico) si permette al vigneto di fertilizzarsi da solo mantenendo viva la flora batterica del terreno.
E poi non si utilizza concime ma unicamente letame prodotto in azienda rendendo la vite più resistente all’attacco dei parassiti. E poi, cosa di grande importanza, quanto meno nel 60% dei vigneti di proprietà, che vanno da dieci sino a 90 anni d’età, non si fa ricorso ad una selezione clonale di Chiavennasca, bensì una selezione massale di vecchi ceppi. E una volta lavorato rigorosamente in vigna e portate a casa uve di qualità e sane, anche in cantina identica filosofia: niente lieviti selezionati - “vino a fermentazione naturale” si legge in retroetichetta, fermentazione della durata di 18 giorni – uso dei solfiti ridotto al minimo, nessuna filtrazione o chiarifica e vinificazione e affinamento in botti di rovere da 30 ettolitri per un minimo di 4 anni e vasi in cemento vetrificati da 60 hl.
E non è finita perché accanto al Nebbiolo (di tre diverse varietà) nello Stabia troviamo un 5% di altre uve, rossola, brugnola e altre varietà locali che conferiscono al vino un carattere particolare. Bella e poetica la filosofia naturale, meravigliosa l’identità ampelografica particolare, molto suggestiva e semplice l’etichetta, ma il vino, di cui è andata in commercio da qualche mese l’annata 2006, com’é?
E’ sorprendente, schietto, autentico, simpaticamente burbero e con qualche leggera ruvidità caratteriale come tutti i vini di montagna ed i Nebbiolo valtellinesi, con il suo colore rubino brillante con una leggera unghia aranciata che vira al granato, tipicamente nebbioloso nei profumi, ampi, leggermente selvatici, che richiamano lampone e ribes, erbe aromatiche, ginepro, con una componente sapida e petrosa e una freschezza molto evidenti.
Al gusto è ben strutturato, largo, succoso, con un tannino ben evidente che ancora “morde” leggermente, un’acidità viva, fresca e salata che ravviva e dà equilibrio ad un corpo ben sostenuto e una persistenza lunga e una ricchezza di sapore che lo rende adatto non solo ai piatti, ricchi e saporiti della cucina valtellinese, ma anche a lasagne con ragù di carne, spezzatini, formaggi stagionati, grigliate. Una prova d’esordio, quella dello Stabia dei Dossi Retici, veramente riuscita.