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La curiosità è nata quando è stata presentata l'iniziativa: un Panel che valutasse il contenitore ancora prima del contenuto. Per la verità basta fare una riflessione nemmen tanto sagace per rendersi con che l'dea è la soluzione per molte domande. La portabilità, il tappo, lo stoccaggio. Il limite etilometrico, la moderazione nel consumo, la lotta agli sprechi. Insomma c'erano abbastanza motivi per partecipare alla giostra con la mente aperta e senza pregiudizi.
Poi arriva il kit di Oneglass, una delle "confezioni" più belle che mi sia capitato di vedere. Aspetto suburbano, post industriale di imballaggio usato, in realtà raffinatissimo cartone fustellato. Stampa delavè e font "timbrato" per quello slogan, "vino allo stato puro." per la verità anche sovraesposto. Il target appare di un consumatore sensibile anche alla raffinatezza ed alla cura del packaging.
In effetti tenere in mano la "bottiglia" di Oneglass è una bella sensazione. Quella mano pesca, quella gommina-grip che è un piacere tenere tra le mani. Avare le informazioni sul contenuto: generiche note di degustazione, composizione del blend dei vitigni, ma nessuna indicazione sulla provenienza, sul produttore, sulla vinificazione. Le indicazioni d'uso sono chiarite da un paio di pittogrammi a cui non presto alcuna attenzione, e mi fido di più delle fessure predisposte ai lati del collo della bottiglia. Temevo assai l'effetto brick, una delle cose più detestabli che sia mai stata inventata dall'uomo: invece qui l'apertura è agevole, proprio un gesto.
La mescita è meno intuitiva. Arranco attorno allo strappo cercando di aprire il varco premendo sui bordi del contenitore ma ho mala parata. Solo dopo varii armeggiamenti mi arrendo, capovolgo la sacchetta e strizzo. Ecco fatto. Bastava guardare la figura, dice, ma in verità non è bastato. Una volta compreso il meccanismo va tutto liscio.