La Rolls Royce degli eventi enogastronomici, con moquette cinematografica inclusa davanti all’entrata, non fa una piega. Ha ragione il collega
Fiorenzo Sartore: da queste parti gli anni Novanta non si sono ancora liquefatti.
Il movimento dei naturali con annessi e connessi? Assorbito in Bio&dinamica con la disinvoltura con la quale Vissani interpreterebbe un piatto di cucina molecolare.
La crisi? Col biglietto giornaliero a un passo dai 100 € è un termine più incomprensibile di una etichetta della Mosella.
Stupito il grande produttore toscano davanti a cotanto diluvio di bella gente: confidandomi che lui fa una fatica bestiale a chiederne 10, di euri, agli italiani, per la degustazione in cantina di tutte le etichette.
Merano è l’angolo duty free del mondo etilico, la
promised land che nemmeno chiede di varcare il confine.
Glamour e istituzionale, vip e solidale al contempo, qui vengono tutti: Bruno Vespa in versione discente, che i tuoi amici capitati al suo tavolo alla cena di gala giurano che è anche disponibile, Oscar Farinetti col sorriso baffuto, Attilio Scienza prodigo di spiegazioni, l’appassionato anni Dieci con la camicia a scacchi che proprio non si rassegna, e cerca Woodstock nel bicchiere di Lambrusco. E il bancario in vacanza con la moglie di là, alle Terme supersoniche a un passo, che fossi in lui da sola non ce la manderei, perché da queste parti le Terme si fanno sul serio, e al massimo nella sauna ci puoi andare con la catenina.
Eccolo, il termine attorno al quale gira tutto: serietà.
Perché è tutto maledettamente serio, e anche serioso qui, perché, come mi ricorda orgoglioso l’assessore al turismo di Lagundo seduto accanto a me alla birreria Forst, qui la minoranza sono gli italiani, che sono
loro che si devono adeguare a
noi, alla nostra cultura tirolese, e che in Tirolo è meglio tagliarsi le mani, piuttosto che rimangiarsi la parola data.
E insomma dove siamo? In Italia? No: siamo nella terra promessa, il non luogo.
E poi la neve e i mercatini a inizio novembre ancora non hanno attecchito.
Merano durante il Wine Festival sa solo di vino, entri nella Kurhaus che ci venivano gli Asburgo ad ascoltare la musica di Mozart, e ora ti ci togli tutta la sete accumulata nell’anno, con Montevertine e i Barbaresco di Bruno Giacosa a bicchieroni, quel Sauternes da bava alla bocca, letto mille volte on line durante l’anno, che Parker non scende mai sotto 95/100, e il bianco georgiano vinificato in rosso, stallatico come una bestia, anzi no, sarà il
terroir caucasico, chi lo sa. Tutto buono, ma buono proprio, nel silenzio inaspettatamente tiepido della città di Sissi. La orda, l’unica, felice sopra la moquette cinematografica, sono gli enofili, tutti italiani o quasi, perché questa per loro è la terra promessa.