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In tempi difficili, quando il lavoro scarseggia, una professione è meglio inventarsela. E visto che siamo un popolo di santi, navigatori, poeti e cuochi, perché non aprire un ristorante dentro le mura di casa? Negli ultimi tempi se n’è fatto un gran parlare, con articoli e servizi usciti su riviste e telegiornali. L’idea è simpatica, e anche di relativa semplice realizzazione.
Tutto pare aver avuto origine in Inghilterra, quando nel 2009 la fotografa Kerstin Rodgers, meglio conosciuta come MsMarmiteLover, invitò le persone che visitavano il suo blog a un evento a pagamento che si sarebbe svolto nella sua casa di Londra. All'inizio l'iniziativa era al limite della clandestinità, ma oggi si tratta di un lavoro in piena regola, tanto che AirBnB sta testando l'allargamento dei suoi servizi anche per le cene in casa.
Per una volta, anche in Italia le regole per tutti sembrano essere abbastanza semplici. Se la cena si svolge fra le mura domestiche, dal punto di vista sanitario infatti non è necessaria alcuna autorizzazione, anche se è consigliabile dotarsi di un attestato sulla sicurezza alimentare, meglio conosciuto come attestato HACCP. Si ottiene frequentando uno specifico corso, che insegna tutte le norme igieniche relative a preparazione, manipolazione, trasporto e distribuzione degli alimenti. Come dicevamo non è obbligatorio, ma può essere considerato un vero e proprio plus per chi si propone come cuoco a casa, oltre che una garanzia per chi viene a cena.
Dal punto di vista fiscale invece non è nemmeno necessario dotarsi di partita IVA. La corresponsione di denaro da parte degli ospiti per la cena può infatti essere inquadrata all'interno del concetto di prestazione occasionale. In pratica il cuoco casalingo viene visto come un collaboratore che esegue un lavoro per un periodo di tempo e un compenso limitati per il suo committente, ossia i suoi ospiti. È sufficiente che al momento del pagamento il cuoco produca una ricevuta agli ospiti che comprenda al suo interno anche la ritenuta d'acconto.
Queste regole valgono fino al raggiungimento di un massimo di 5.000 euro annuali lordi di compensi, oltre i quali ci si deve dotare di partita IVA. Anche in questo caso però, e fino al tetto di 30.000 euro all'anno, si può usufruire del regime agevolato dei minimi, che prevede tutta una serie di agevolazioni come ad esempio il non essere soggetti agli studi di settore.
Credits: Local Milk
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