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Mensa o panino libero? Menù standard o lunch-box? Nelle scuole, storicamente, questa alternativa non è data. Nasce da questa possibilità negata, la battaglia di un gruppo di famiglie di Torino determinate a voler vedere riconosciuto per i propri figli il diritto al pasto da casa. Con effetti che potrebbero diramarsi in tutta Italia.
La rivolta del panino. Tutto comincia nel 2013 quando un gruppo di genitori protesta contro qualità e costi della refezione comunale (a Torino, in fascia massima, 7,10 euro al giorno). Pur insoddisfatti del servizio non possono fornire i propri figli di un pasto da consumare a scuola, lo vieta una serie di regole scolastiche e sanitarie. Comune e Miur, il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, si oppongono, tra l’altro, per le difficoltà che intravedono nel sorvegliare i bambini che non usufruiscono della mensa e nell'organizzare la pulizia degli spazi. Ma i motivi del no sono anche ideologici (la mensa vista come conquista sociale) e igienico-sanitari (non si possono portare a scuola cibi diversi da quelli del servizio di ristorazione).
Cinquantotto famiglie fanno ricorso. Il Tar dà loro torto, la Corte d’Appello, il 21 giugno scorso, ribalta il giudizio e dice che i bambini di queste famiglie hanno diritto di mangiare a scuola durante l’orario della mensa quanto portato da casa. Aggiunge che deve essere garantita per loro la presenza di personale educativo senza costi aggiuntivi per i genitori. Comune e Miur devono organizzarsi di conseguenza. Il 13 settembre c’è un passaggio successivo: un’ordinanza del Tribunale di Torino di fatto autotizza chiunque lo desideri a rifiutare il servizio mensa. E’ un diritto garantito dalla Costituzione e vale per tutti.
La battaglia non è ancora finita, rimane il terzo grado di giudizio da superare. Il Miur si è rivolto alla Cassazione e il comitato CaroMensa di Torino ha promosso una raccolta fondi per finanziare la battaglia dei genitori che intendono costituirsi.
Il contagio. Mentre a Torino, dove il 10 per cento degli alunni quest’anno non mangia in mensa, la tensione tra istituzioni scolastiche e genitori con reciproche denunce, costi aggiuntivi ed episodi d’isolamento per chi ha optato per il pasto da casa, rimane alta, la rivolta del panino sta contagiando altre città, da Genova a Bologna. C’è chi invoca un intervento legislativo nazionale.
I nodi da sciogliere. La questione è complessa e delicata, riguarda i nostri figli, la loro educazione e la loro salute. Tanti i fronti aperti. C’è una questione logistica che interessa le singole scuole che devono individuare un luogo per la "zona panino", provvedere alla pulizia e alla sorveglianza dei bambini. C’è il tema della qualità e, a monte, un interrogativo: è l’offerta delle mense scadente o la nuova generazione che si mette a tavola più pretenziosa? C’è l'importanza di garantire la sicurezza alimentare per tutti, anche per chi si porta il pasto da casa. Non ultima, la questione economica, dunque il costo per le famiglie del servizio mensa, in un contesto con forti disomogeneità sul territorio nazionale. Infine, sopra tutto, c'è l’idea della mensa come tempo pedagogico, sociale e di educazione alimentare, che va condiviso, e il timore che possa venire meno o che addirittura si possano creare i presupposti per discriminazioni.
Tanti nodi vanno ancora sciolti. Di certo di panino libero a scuola si discuterà ancora molto nei prossimi mesi.
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