Non cercate il nome Alta Langa Docg in etichetta, anche se questo vino quantomeno per la provenienza delle uve, potrebbe esserlo a pieno titolo. In effetti Alta Langa è destinato a diventare, quando potranno essere rivendicate come tali le uve di Pinot nero e Chardonnay messe a dimora in quel di Roddino: ma per il momento questo sorprendente Extra Brut Nostra Signora della Neve porta semplicemente in etichetta "vino spumante di qualità". Una dicitura di legge che non amo, perché non ha alcuna connotazione territoriale e non fa capire il legame con quella terra di cui il vino è espressione. Una dicitura asettica che parecchi altri produttori di Langa, barolisti e barbareschisti di valore (
potete leggere qui alcuni dei loro nomi) approdati al metodo classico stanno utilizzando, mentre alcuni, ad esempio
Ettore Germano, sono già diventati “altalanghisti” (o altolanghisti?) in servizio permanente effettivo.
Si tratta dell'esordio come produttore di metodo classico di uno di quei nomi - Vajra - che sono una garanzia, di qualità, serietà, e molte altre cose ancora. Questioni nominali a parte, questo Nostra Signora della Neve - splendido il nome del vino, e ancora più splendida ed elegante l’etichetta firmata da quel grande artista e genius loci di Langa che è stato
Gianni Gallo - è una prova d’esordio al fulmicotone. Ennesima prova della grandezza di un’azienda alla quale non si devono solo ottimi Barolo dal particolare terroir di Vergne o da Serralunga d’Alba, gustosi Barbera d’Alba e Dolcetto d’Alba (il mirabolante Coste & Fossati), una specialissima lettura della Freisa, il Kyè, ma un Moscato d’Asti super (da vigne in quel di Mango) e il Langhe bianco Petracinè, uno dei più grandi Riesling (renani) italiani. Un bianco emozionante.
E’ un Extra Brut Rosé molto particolare, figlio di una sorta di
wedding crowns, di summit al vertice con pari diritti tra i due vitigni rossi più nobili, Monsù Nebbiolo e Monsieur Pinot Noir. Uve della vendemmia 2007, macerazione a freddo in inox, un rosato da salasso, con presa di spuma giugno 2008 e sboccatura 22 settembre 2011 e 36 mesi di permanenza sui lieviti. Una sorta di prova, ripetuta per altre due annate (saltata quella 2009) che si è tradotta in 5000 bottiglie (e 356 magnum) che vengono via in enoteca, come mi ha raccontato Giuseppe, classe 1985, il maggiore della triade dei fantastici figli della coppia felice formata da Milena e Aldo Vaira (triade completata da Francesca e Isidoro), intorno ai 20-22 euro.
Io per testare a fondo questo Rosé Extra Brut l’ho provato in due diversi calici, il nuovo ampio calice Franciacorta ed il (posso dirlo? bruttino, pesante e non particolarmente performante) calice Giugiaro Alta Langa, trovando un’espressione più compiuta nel bicchiere studiato per le “
bollicine” bresciane.
Si potrebbe stare a lungo a discettare sul colore (la
robe dicono con
esprit de finesse i francesi), un qualcosa a mezza via tra salmone pallido, leggera buccia di cipolla cerasuolo granato appena sfumato, “rosa con sfumature cipria” ha scritto Chiara Giovoni in
Bollicineterapia, colore di bella lucentezza, brillante, vivo e smagliante. E poi farsi catturare con fantasia alla Herman Hesse dal
Glasperlenspiel, dal gioco delle perle di vetro che si liberano nel bicchiere sviluppando un perlage sottile e continuo.
Poi si resta subito catturati dal naso, fitto, ricco, assertivo, dalla bellissima delicata intensità di frutto, tutto ribes e lampone, agrumi (netto il mandarino con accenno di pompelmo rosa e di fiori d’arancio) e poi pesca bianca, completata da note di rosmarino, erbe aromatiche, petali di rosa appassiti, una bella vena minerale, che emergono ancora più nel calice franciacortino, con grande delicatezza, compattezza, eleganza. Questo mentre l’altro bicchiere comprimeva maggiormente i profumi, mantenendoli ancorati al suolo senza dare loro leggerezza e andamento aereo. Il tutto, il
bouquet, completato da una bella vena minerale e gessosa e da una grande freschezza.
Attacco in bocca maschio, deciso, di grande intensità e forza, con bellissima bolla croccante sapida e nervosa, verticalità e nerbo sapido, vibrante spina acida, grande energia che dà spinta e profondità al vino, che ha una presente ma contenuta vinosità, una spalla ben sostenuta, una larghezza ed un bel peso in bocca, ben bilanciati dal nerbo preciso, davvero da grande vino. Il finale è molto lungo e persistente con una bellissima vena di mandola salata più che tostata. Un Extra Brut che definirei gastronomico tanto richiama il cibo e spinge a testarlo sugli accostamenti meno giudiziosi e più azzardati. Ad esempio il supremo tonno di coniglio che si gusta nel mio prediletto ristorante di Langa
Da Felicin a Monforte d’Alba, un pollo alla cacciatora, dei maccheroncini al ragù di pernice rossa, ma anche selvaggina, perché il Pinot nero è una gran bella bestia, mentre il Nebbiolo, che nel Nostra Signora della Neve è suo complice e sostegno, assicura potenza, struttura tannica, spinta, vigore ed estrema ricchezza di sapore.
Con una finezza da standing ovation.