Confesso di trovarmi in una particolare e imbarazzante situazione. Mi tocca in qualche modo la stessa incombenza, molto fastidiosa, che capita al padre di famiglia costretto a rivelare ad un bambino che si è fatto grandicello che in realtà Babbo Natale e la Befana non esistono. Io non devo turbare sogni e illusioni infantili, ma molto più semplicemente sono nella spiacevole condizione di dover dire ad un bravo produttore di vini che si ostina a riportare sull’etichetta della sua bottiglia di VSQ la dizione Talento, che Talento è game over, che l’operazione Talento si è conclusa senza possibilità di ritorno e che riportare quel nome sulle bottiglie delle proprie “bollicine” è un non senso. E’, proprio come nel caso di Babbo Natale, evocare qualcosa che non esiste. Urge spiegazione, ad uso e consumo di chi, a questo punto, faticasse a capire di cosa stia parlando.
Talento è stato il nome (bruttino assai) scelto qualche anno or sono per provare a definire e racchiudere sotto un cappello comune, che non poteva essere “spumante” visto che qualifica anche vini prodotti con il più veloce ed economico metodo Martinotti/Charmat, i metodo classico prodotti nelle diverse zone italiane. Una cosa sulla falsariga di quanto avvenuto in Spagna, dove si sono inventati il nome di Cava per i loro “méthode champenoise”.
Inutile dire che questo tentativo di dare una casa comune al metodo classico italiano, fatto in due riprese, è fallito per l’indisponibilità della Franciacorta a chiamare Talento i propri Franciacorta Docg e perché anche tanti altri protagonisti, in altre zone, non erano disponibili a chiamare in quel modo, ben poco appealing, i propri vini. Morale, operazione morta e sepolta, con solo una ventina di soggetti aderenti, come testimonia
il sito Internet del Talento, ormai in rigor mortis e non più aggiornato da due anni.
Tutte queste cose, perché è un produttore in gamba, le sa perfettamente anche Umberto Cosmo che nella sua azienda
Bellenda di Carpesica una decina di chilometri da Conegliano e Vittorio Veneto e ad un tiro di schioppo da Ceneda, patria del librettista principe di Mozart, Lorenzo da Ponte, si diletta a produrre indifferentemente sia validi Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg che quattro metodo classico, ottenuti dalle canoniche uve Chardonnay e Pinot nero, definiti in etichetta Talento.
Oltre ad importare con la sua
Bellenda distribuzione gli ottimi Champagne di un piccolo récoltant manipulant come Roger Coulon. Il Talento è kaputt, anche se altri produttori di qualità come Arunda Vivaldi, Bisol e Letrari continuano a riportare quella dizione. Allora come chiamare, per distinguerlo dalle altre “bollicine” prodotte proprio nella patria del migliore Prosecco, l’ottimo Rosé che Cosmo ed i suoi fratelli producono da uve Pinot nero in purezza dalla loro vigna del Moro allevata a Guyot con 5000 piante per ettaro di densità posta a quasi 200 metri di altezza, ben esposta a sud su terreno argilloso calcareo ricco di residui della morena dell’antico ghiacciaio del Piave che scendeva dalla sella del Fadalto tra il Monte Pizzocchero e il Monte Visentin?
Direi semplicemente metodo classico Rosé Bellenda VSQ, confidando nel riconoscimento da parte del consumatore di un savoir faire che si applica nella produzione di un vino veramente ben fatto, affinato sui lieviti da tre a quattro anni (il campione da me degustato, con sboccatura dichiarata 2013 e tiraggio del 2007 da uve della vendemmia 2006) da e dosaggio di sette grammi di zucchero per litro che mantiene largamente il vino nell’ambito del Brut.
Bello il colore, un melograno salmone scarico di vivace brillantezza, fine e continuo il perlage, vivo nel bicchiere, e naso ampio, fresco, elegante, ricco e maturo, vinoso e accattivante al punto giusto, tutto giocato su piccoli frutti rossi, pompelmo rosa, ananas, con leggere sfumature di cioccolato e ciliegia, di crème caramel, eppure fresco, sapido, di bella plasticità e ampiezza, di nitida definizione.
Bocca piena e carnosa fin dal primo impatto, di buona espansione e calibrata dolcezza, con persistenza lunga e cremosa sul palato, ricchezza di sapore e polpa succosa, e una piacevolezza ed un equilibrio che rendono facile l’abbinamento ad una vasta gamma di piatti. Anche di quelli normali e quotidiani, senza arrampicarsi sugli specchi degli abbinamenti particolari. Un Rosé ben fatto, che se anche in futuro rinuncerà a presentarsi con un nome che non ha più ragione di esistere, non perderà di certo un briciolo del proprio fascino…