Viene difficile credere che con tali e tanti quarti di nobiltà, enologici e non solo, in questa tenuta che vanta una storia antichissima e gloriosa - una pergamena datata 804, un contratto di affitto, documenta come già 1200 anni fa qui venissero coltivati olivi e viti per la produzione dell’olio e del vino, ma la vite si coltivava già nell’epoca preromana, circa 3000 anni fa - in un territorio, quello di Carmignano, poco lontano da Prato, che può vantare di essere stato selezionato nel 1716 dal Granduca Cosimo III de’ Medici come una delle quattro zone a vocazione viticola del Granducato di Toscana, in una azienda agricola che s’identifica quindi con il Carmignano, accanto a rossi importanti e a un supremo Vin Santo, uno dei migliori in assoluto della Toscana e quindi del mondo, si possa produrre anche un rosato.
Invece, con quell’attaccamento che le migliori dinastie nobili che si dilettano nella difficile arte di fare vino sanno dimostrare, i Contini Bonacossi, tornati proprietari della tenuta nel 1920 dopo che la tenuta era appartenuta a famiglie come i Bourbon del Monte, gli Adimari Morelli i Franchetti Rothschild e Sara de Rothschild, proprietari di qualcosa come 670 ettari, di cui 104 coltivati a vigneto e 140 a oliveto, amano produrre questo speciale rosato, che ha una storia molto particolare. Nasce difatti dalla “storia di un furtarello: nel periodo della mezzadria, durante la vendemmia, il mezzadro, con la scusa che era tardi, ritardava il trasporto in fattoria dell’ultima tinella di uva ammostata e durante la notte 'ruspava' un certo quantitativo di mosto che finiva nella sua cantina, ossia se ne appropriava e lo raccoglieva in damigiane dove sostava per tutto l’inverno senza essere governato”. E così “il mosto fermentava nelle damigiane, dando origine ad un vino fresco e piacevole, che veniva tradizionalmente bevuto durante la battitura”.
Oggi non si “ruspa” niente a nessuno e il vino, costituito per l’80% da Sangiovese, per il 10% da Cabernet, e per il 10% da Canaiolo, prevede che poche ore dopo la vendemmia, o al massimo il giorno successivo, il 5-10% del mosto venga spillato dal fondo dei tini che daranno poi vita al Carmignano. Una volta poi chiarificato, nel giro cioè di uno o due giorni, viene quindi travasato in un altro recipiente ove avverrà la fermentazione. Un rosato serio dunque, che appare ancora più serio se si considera che a Capezzana, da svariati anni, è stato completamente abbandonato l’uso di diserbanti e concimi chimici, sostituendoli con lavorazioni meccaniche e semine di piante leguminose da sovescio e che il prossimo anno l’azienda, dopo un lungo processo di riconversione biologica, sarà certificata Bio da BIOAGRICERT. Senza dimenticare la particolarità del suo clima, con l’altitudine non troppo elevata (circa 200 metri) che in estate dà giornate calde, seguite generalmente da notti rinfrescate dai venti che scendono dall’ Appennino, fattore che crea le condizioni per una buona maturazione delle uve. Inoltre il Montalbano difende dalle burrasche e dai venti marini e il suo contrafforte di Capezzana si affaccia come una penisola sulla grande pianura Firenze-Prato-Pistoia, permettendo grande insolazione e buona ventilazione.
Il risultato è un vino - ottenuto da vigneti esposti a sud, sud-est e sud-ovest, posti su terreno scisto argilloso, vinificato e affinato esclusivamente in acciaio - che assomma eleganza, piacevolezza e struttura e lo rende adatto come aperitivo su antipasti freddi e carni bianche. Bellissimo e intenso il colore, un rosa antico che vira verso il granato, naso ampio, caldo, avvolgente, di grande sostanza, con maturità di frutti rossi e note di agrumi canditi, con sfumature tipicamente toscane di erbe aromatiche e macchia mediterranea. La bocca è piena e consistente sin dal primo sorso, di grande ampiezza, ben strutturata, ma fresca nel suo sviluppo, con una persistenza lunga e golosa e un carattere quasi da rosso che non ne sacrifica la beva. Una sorta di “Carmignano” rosé, che vale decisamente la pena prima o poi provare.