C’è poco da fare: quando si prova ad enumerare le uve bianche autoctone che fanno la differenza e che danno vita a vini di autentica personalità, veramente rappresentativi del territorio di origine e dotati di classe, il
Verdicchio, la varietà simbolo del vino marchigiano, in questo ristretto elenco di vini, in grado di mettere d’accordo tutti, ci finisce sempre. Immagino già le obiezioni di qualcuno: ma sta parlando di quel Verdicchio, quel vino popolarissimo, presente in tante pizzerie, reso famoso anche da una versione commercializzata in una particolare bottiglia a forma di anfora? Proprio così, sto parlando di quel Verdicchio, che anche nelle sue versioni più “divulgative”, mantiene una dignità e una piacevolezza fuori dal comune. So bene che il Verdicchio, che in terra marchigiana conta su due distinte denominazioni,
Verdicchio dei Castelli di Jesi, la più importante, e
Verdicchio di Matelica, prodotto prevalentemente in provincia di Macerata (oltre a Cerreto d’Esi e Fabriano nell’anconetano) viene prodotto in quantitativi importanti. E non solo da piccole aziende agricole, ma anche e soprattutto da grandi produttori e da cantine sociali di dimensioni considerevoli.
La bellezza di quest’uva, e di questo vino, sta però oltre che nella sua duttilità d’espressione (che si traduce in bianchi semplicemente vinificati in acciaio, affinati sui propri lieviti, passati in legno, ma anche in ottime “bollicine” metodo classico e persino in passiti) nella sua trasversalità, che gli consente di dare ottime prove nonostante la diversa natura e le dimensioni delle aziende che lo producono. La riprova di questa evidenza viene dal fatto che il vino che voglio consigliarvi e che io considero tra i Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico, dizione riferita unicamente a vini la cui produzione avviene all'interno della zona più antica o storica, quella dei Castelli di Jesi, posti sulle vallate a ridosso del fiume Esino, più emblematici e migliori dell’intera denominazione, è prodotto nientemeno che da una cantina cooperativa.
Una cantina sociale che più volte ho definito essere una delle migliore cantine sociali italiane, nata nel 1959 per iniziativa di 19 viticoltori e che oggi conta su 110 associati che controllano 120 ettari di vigneto, con sede nel cuore della zona classica di produzione, a
Cupramontana, da sempre uno tra i più importanti centri di produzione vinicola della regione. Un borgo le cui risalgono al periodo piceno, che vede sorgere nel territorio dell'attuale cittadina un tempio in onore della Dea Cupra, divinità della ricchezza e dell'opulenza, in onore della quale si tenevano riti propiziatori innaffiati da un vino bianco sicuramente antenato del Verdicchio.
Colonnara ha al suo attivo diversi cru di Verdicchio, il classico Superiore Tufico, il classico Superiore San Giacomo della Marca, i classico Portonuovo e Lyricus, ma il Verdicchio della mia predilezione è senza alcun dubbio il Classico Superiore Cuprese, un vino, prodotto per la prima volta nel 1985, con il quale ho un’antica consuetudine frutto di ripetuti assaggi negli anni
, prodotto con un’attenta scelta delle migliori uve Verdicchio provenienti dai migliori vigneti pedemontani (da 350 a 500 metri d’altezza) in territorio di Cupramontana, Maiolati Spontini, Staffolo, posti su terreni di medio impasto, di origine marina, con punte elevate di argilla e sabbia, uve raccolte a maturazione avanzata, quando sono in grado di esprimere al meglio le caratteristiche del vitigno. E poi utilizzo esclusivamente di mosto fiore pulito, 50-55 litri per quintale, con bassissime dosi di solforosa per la conservazione, ed un imbottigliamento non prima di aprile – maggio. Di questo vino ho avuto modo –
leggete qui – di fare giusto dieci anni fa, ricordo il caldo terrificante di quell’estate, un’emozionante verticale di quattro vecchie annate, 1994, 1991, 1988 e 1985, che dimostrò come il Cuprese possedesse una longevità possibile solo a pochissimi altri bianchi italiani. Cosa ancora più sorprendente considerando che non ci si trova di fronte ad una delle riserve affinate in legno pensate più “pour épater les guides et la presse” più che piacere al consumatore tipo, ma un Classico Superiore dotato di sfumature di eleganza e di mineralità che si é soliti avere esclusivamente da un blasonato Riesling austro – tedesco o da qualche Rias Baixas gallego di superiore caratura. Questa volta,
dopo aver celebrato nel 2010 un Cuprese di “soli” otto anni, mi sono dovuto accontentare, stappato nell’agosto 2013, di un Cuprese “bambino”, visto che era del 2010 e non di annate precedenti. Identica la meraviglia per la personalità e la classe innata di questo Verdicchio dei Castelli di Jesi.
Colore paglierino intenso e luminoso, di bella grassezza nel bicchiere, si presenta subito con il suo naso caratteristico, fine, elegante, ad ampio spettro, tutto giocato sul bianco, fiori bianchi, gelsomino e fiori d’arancio, cera d’api, agrumi, mandorla fresca, una leggera vena di anice nello sviluppo e poi tanto sale e pietra focaia. Bellissima la bocca, profonda, affilata, nervosa, scattante, con magnifico equilibrio e sapidità, un frutto maturo al punto giusto che resta in secondo piano e lascia dominare mandorle, agrumi, una nota salata, minerale, di grande dinamismo e forza, intensamente verticale, che apre ad una vena precisa di mandorla fresca sul finale, molto lungo, persistente, preciso, all’insegna della piacevolezza, con un’incisiva vena acida che costituisce, con una sapidità nervosa, la spina dorsale del vino.
Come ebbi a scrivere anni fa e confermo, un Verdicchio “speciale”, vera esaltazione della grandezza dei migliori terroir marchigiani, in splendida forma, con una vitalità, una perentorietà assolutamente da applausi. Gustatelo in abbinamento ad antipasti di pesce salsati, pesci o crostacei bollati e salsati, o arrosto, pesci cotti "in potacchio" con lo stesso vino, paste o risotti conditi con sugo bianco di pesce o crostacei, salumi crudi, fritto misto di carni e verdure alla marchigiana, prosciutto crudo dolce, formaggi poco stagionati.