Quest’anno, avendo scelto di non partecipare all’Anteprima dell’Amarone della Valpolicella 2010 che si è svolta recentemente a Verona mi sono perso l’ennesima celebrazione dei numeri “da spavento” (da ogni punto di vista) raggiunti da quello che una volta era una “chicca”, una specialità accessoria di una zona che non casualmente si chiamava Valpolicella proprio perché la sua anima era quel vino e che oggi bisognerebbe ribattezzare “Amaronia”, visto che nel 2013 sono stati messi in appassimento 299.000 quintali di uva (nel 1990 erano 45 mila e nel 1998 quasi il doppio, passati a 125 mila nel 2001) e si prevede una produzione monstre da 13,4 milioni di bottiglie da qualcosa come 272 aziende imbottigliatrici.
Se si pensa che la produzione solo una quindicina d’anni fa era limitata a poco più di quattro milioni di bottiglie si ha facilmente la misura della trasformazione, oggettiva, che un vino come l’Amarone della Valpolicella ha conosciuto. Una trasformazione che ha portato anche ad un cambio d’identità e di stile in moltissimi vini, tali da renderli più in linea con un vino che ha perso larga parte della propria territorialità ed è diventata una vera e propria wine commodity.
Un qualcosa che, con la sua crescita abnorme (si tenga conto che accanto all’Amarone vero e proprio è cresciuta anche la produzione del simil Amarone il Valpolicella ripasso) ha contratto di fatto la produzione di quello che era il vino simbolo della zona, il Valpolicella base ed il classico Superiore. E li ha spesso banalizzati e privati di quella profondità, di quel carattere peculiare che li rendeva estremamente graditi a molti. Fortunatamente ci sono delle eccezioni a questa trasformazione e io considero una di queste, un autentico caposaldo e punto di riferimento, un segno di continuità e contraddizione, una delle più storiche aziende valpolicellesi, Le Ragose, creata nel lontano 1969 in un remoto angolo alto collinare di Negrar (zona che più classica non si può) da Arnaldo, enologo, e da quella persona indimenticabile che è stata sua moglie Marta Galli, fondatrice dell’associazione Donne del Vino e donna di fortissima tempra e carattere.
Non si può certo dire che alle Ragose, dove oggi operano, nel segno della continuità con l’esempio indelebile lasciato dai genitori, i figli Paolo e Marco siano dei tradizionalisti polverosi, anche se ad esempio considerano che i “vigneti a pergola trentina semplice (densità e portainnesti delle vigne, orientamento e inclinazione della pergola) e la sua attenta gestione (concimazione, potatura invernale, potatura verde, sfogliatura e diradamento dei grappoli) ne fanno un ottimo sistema di allevamento per le varietà coltivate sulle colline veronesi”. E senza presentarsi come produttori di vini naturali praticano fermentazione ricorrendo a lieviti indigeni.
Uno dei due fratelli, Marco, conosce bene la materia essendosi laureato in Agraria, vent’anni orsono con una tesi sperimentale sulle microvinificazioni delle varietà locali, e quindi la loro scelta di recuperare svariate varietà locali (forselina, rossetta, rossignola, pelara, cagnara, terodola, dindarella, oseleta, cà brusina, negrara) ottenute dalle piante madri del vecchissimo vigneto delle Sassine, non è solo un’operazione “romantica” o di “cultura”, ma corrisponde ad una precisa volontà di tipicizzare all’estremo, di diversificare, e rendere i vini che producono autentici “vin de terroir” espressione la più fedele possibile di quell’angolo di terra. Io adoro gli Amarone, il classico, 50% Corvina, 20% Rondinella, 20% Corvinone, 10% altri vitigni autorizzati e affinamento per 3/5 anni in botti di rovere di Slavonia di capacità da 10 a 60 ettolitri, e l’Amarone Classico Marta Galli, identico uvaggio e affinamento in tonneaux di rovere nuovi, di primo e secondo passaggio, a varia tostatura e di varie provenienze (Allier, Troncais, Vosges) per 24-36 mesi. Ma non dimentico mai che il vino identitario della zona è e deve restare il Valpolicella, cosa di cui sono profondamente convinti alle Ragose dove di Valpolicella ne producono ben quattro: "Classico DOC", "Superiore DOC Marta Galli", "Superiore DOC 'Le Sassine'", "Superiore DOC Ripasso 'Le Ragose”.
Valpolicella ottenuti solo da uve autoctone della Valpolicella: Corvina, Rondinella e Corvinone, a cui si aggiungono in piccole quantità altre uve autoctone, con la Rondinella ad assicurare colore e la "Corvina" e il "Corvinone", ricchi di polifenoli e tannini, incaricati di dare struttura al vino. A me, non so se anche per l’applicazione di una speciale procedura di pre-appassimento delle uve, selezionate a mano in plateaux direttamente in vigna, per 20-30 giorni, provenienti da terreni con argille rosse, brune e “toar” su calcari eocenici, piace particolarmente ogni anno, quando l’assaggio, il Valpolicella classico superiore Marta Galli, nonostante le procedure di cantina prevedano l’affinamento in tonneaux di rovere nuovi, di primo e secondo passaggio, a varia tostatura e di varie provenienze (Allier, Troncais, Vosges) per circa 24 mesi e non in botti grandi.
Ma quando c’è una materia del genere e quando la coscienza e del territorio è tale come alberga nei Galli, non c’è mai pericolo di trovarsi di fronte ad una presenza invasiva del legno ed è sempre il carattere delle singole uve che formano questa composita cuvée, 50% Corvina, 15% Rondinella, 15% Corvinone, 20% delle altre uve “minori” e la personalità del terroir a dominare. Come puntualmente accaduto anche con le precedenti annate, ho trovato anche l’annata 2009, 14 i gradi alcolici dichiarati, perfettamente corrispondente al mio gusto. Splendido il colore, un rubino violaceo di buona intensità, grassezza e brillantezza, e subito un naso, variegato, fitto, caldo, avvolgente, fruttoso, che lascia trasparire l’idea che le uve abbiano subito un leggero appassimento, ma che progressivamente, quando il vino si apre nel bicchiere, sciorina tutto il proprio ampio repertorio di ampelo-diversità, di particolarità olfattiva, con sfumature selvatiche e di sottobosco, erbe aromatiche, pepe, liquirizia nera ed una sapida mineralità e un profumo spiccato di terra bagnata.
Bello anche l’equilibrio in bocca, dove il vino si dispone ben teso, vitale, ricco di energia, sostenuto da un’ampia struttura carnosa, ricco di sapore, anche in questo caso un gusto più selvatico e boschivo che fruttato, anche se la ciliegia e la prugna sono ben presenti e di gran polpa, rilanciato da un’acidità viva, da un sale, che rendono il vino, seppure importante, corposo, godibilissimo e dotato di una piacevolezza estrema. Quella che vorremmo sempre trovare, cosa che purtroppo non accade, nei vini provenienti da quella magnifica landa del vino chiamata Valpolicella….