Con la discrezione e lo stile che hanno contraddistinto la sua esemplare vita,
Franco Biondi Santi, il “
Signore del Brunello”, il grande custode dell’integrità del più celebre vino toscano e della sua inscindibile identificazione con il
Sangiovese di Montalcino, alla vigilia del Vinitaly, domenica 7 aprile ha chiuso il proprio percorso terreno.
Voglio provare a ricordarlo oggi, anche se ad oltre una settimana di distanza non riesco ancora a trovare le parole giuste per farlo, con un suo vino, un suo capolavoro. Sarebbe stato banale farlo con un suo
Brunello riserva, di quelli che aperti dopo un bel po’ di anni di riposo in cantina e avendo la cura di stapparli con largo anticipo, come Franco suggeriva sempre di fare, ti lasciano senza parole, come mi è accaduto a Pasqua con un 1975, per la loro incredibile complessità e freschezza. E prevedibile sarebbe stato ricorrere anche ad un Brunello annata o ai suoi grandissimi Rosso di Montalcino, maturati per 12 mesi in grandi botti di rovere di Slavonia.
Per provare a ricordare Franco Biondi Santi e confermare quale gigante e nume tutelare del Brunello sia stato e continuerà ad essere, perché sono sicuro che il figlio Jacopo non modificherà di una sola virgola l’impostazione data all’azienda da suo padre e da suo nonno, ho pensato di parlare dell’ultimo nato del Greppo, un vino, prima annata prodotta in 3000 esemplari nel 2004, ottenuto vinificando in bianco ad una temperatura di 18-20 gradi le uve di Sangiovese di proprietà del Greppo e maturato per 18 mesi in vasche di acciaio inox.
Un rosato che, come ho già scritto
qui, e poi
qui, raccontando le annate 2006 e 2008, si potrebbe definire un Sangiovese giovane,
un quasi Brunello… in rosa, ottenuto da vigne giovani di età variabile dai 5 ai 10 anni, poste su terreni ricchi di scheletro e galestrosi, esposti a Nord-Est, Sud e Nord, ad altezze variabili tra i 250 ed i 500 metri. Un vino che, nel caso fosse ulteriormente necessario farlo, ha completamente nobilitato e sostenuto agli occhi anche dei più scettici la causa della serietà dei vini rosati italiani.
Perché se persino un produttore blasonato e leggendario come Franco Biondi Santi aveva scelto di produrli, e non per moda o per fare cassetta (tenuto conto che questo rosato, credo il più costoso d’Italia, esce dall’azienda in 4400 esemplari a 19 euro e non può essere di certo definito un prodotto di primo prezzo), significava che i rosati erano senza alcun dubbio una cosa seria. E non un prodottino, un “vino da donne” o qualcosa di banale, come qualche bischero, anche a Montalcino, l’ha pensato e concepito. Dimostrando di non aver capito né l’esempio di Biondi Santi, né l’essenza di un rosato serio.
Franco, che faceva tutto con eleganza e con la lungimirante sapienza di chi conosce la terra e sa onorarla al meglio, anche producendo un rosato aveva pensato ad un vino che potesse valorizzare la grandezza del Sangiovese di Montalcino, con freschezza, immediatezza, ma senza banalità. Dimostrando di quale duttilità sia dotata quell’uva, inimitabile e unica, che non ha bisogno di aiutini e correzioni migliorative di alcun tipo (di cui possono aver bisogno solo i mediocri e coloro che a Montalcino hanno piantato Sangiovese dove sarebbe stato meglio invece piantare patate), che si chiama Sangiovese.
Da una vendemmia, quella 2009, giudicata di ottimo livello per esprimere vini equilibrati (giugno piovoso, luglio e agosto asciutti), avviata il 17 settembre con decorso asciutto e freddo, uve sane, mature, con la buccia grossa e ricca di colore, mosto ricco di zuccheri, estratti ed acidità Franco Biondi Santi e l’équipe del Greppo, quella che si sforzerà di fare ancora meglio in assenza di Franco e guidata saldamente dal suo esempio, hanno ottenuto un vino che nel corso della mia ultima visita in cantina lo scorso 23 febbraio, accolto da Jacopo Biondi Santi, mi ha come sempre emozionato.
Colore buccia di cipolla, salmone scarico, tendente al melograno, brillante e di magnifica luminosità, naso inconfondibilmente ilcinese e a marchio Sangiovese, salato, nervoso, di bella ampiezza e fragranza, preciso, nitido mix di note di melograno e ribes, di rosmarino, macchia mediterranea e accenni di rosellina di bosco. Attacco diritto, scattante, petroso, di splendido vigore, ben secco, pieno di sapore, ricco di energia, e sviluppo che dispone il vino largo sul palato eppure freschissimo e verticale (è un 2009 ma chi lo penserebbe?), di gran nerbo, con una stuzzicante mineralità e salinità, una grande pienezza di sapore e una polpa succosa.
Il tutto in quella cornice di equilibrio, armonia, calibrata vinosità che era la cifra distintiva dei vini di quel galantuomo, di quel grande uomo che non dimenticherò mai e che ho avuto il privilegio di conoscere godendo della sua stima e considerazione, il Signore del Brunello, Franco Biondi Santi…