Accadono miracoli a volte nella magica terra di Toscana. Accade che in una delle terre più belle e straordinarie di quell’universo tutto sfaccettato che è il Chianti Classico, in quel terroir privilegiato posto in territorio di Greve in Chianti che è Lamole, dove il Sangiovese canta, gorgeggia à la Elisabeth Friederike Schwarzkopf, si esalta, offre mirabilie di profondità ed eleganza, di freschezza e mineralità, dove è più simile ad un grandissimo Pinot nero che a quelle cose volgarotte e un po’ grevi che andavano di moda (oggi un po’ meno) nella Montalcino pre Brunellopoli, puzzolenti e impenetrabili concentrati marmellatosi e legnosi con addizionate uve franciose, possa nascere un bianco di livello europeo.
Credetemi, nel cuore del Chianti Classico, in terra di Sangiovese supremi per eleganza e complessità, è nato un bianco strepitoso, nientemeno che da uve Sauvignon e Chardonnay, da un vigneto del 1991 posto a 700 metri d’altezza. Il merito, oltre che di una terra benedetta dagli Dei, è di un pazzo scatenato, un visionario del vino, uno di quelli cui bisognerebbe fare un monumento come Paolo Socci, leggi Fattoria di Lamole, la più antica ed estesa delle aziende agricole di questo lieu dit come direbbero in Francia. Una proprietà che appartiene alla famiglia Socci fin dal Medio Evo, fatta crescere dal notaro Giovanni Socci e oggi condotta dal sornione e disincantato Paolo Socci, che operò un’intelligente riorganizzazione aziendale frutto di una serie di accorpamenti negli anni Settanta del secolo che fu (e che talvolta rimpiangiamo pensando a quanto sia stato grande il Novecento, dal punto di vista culturale, artistico, letterario, umano, filosofico, etico, ma sì, anche delle ideologie, migliori, anche quando pericolose, del nulla sotto vuoto spinto in forma di ideali che ci ammorba oggi).
E che ha scelto di fare vino, alla Fattoria di Lamole, da visionario e, come avrebbe detto Veronelli, senza compromessi e con tenacia e feroce “rabbia” da contadino illuminato.
Dei Chianti Classico esemplari le frecce aguzze al suo arco, il Castello di Lamole, la riserva Castello di Lamole Le Stinche, e poi i due Gran Selezione (concetto che ancora non ho ben afferrato) Vigna Grospoli e Antico Lamole Lama della Villa, il tutto con la consulenza di due tecnici, di quelli da stringergli la mano e non da tenersene alla larga come fossero appestati, quali Federico Staderini e Vincenzo Tommasi, ma poi ‘sto pazzo di Socci ha cominciato a sognare di… andare in bianco.
E l’ha fatto senza fretta, con lucido raziocinio, piantato nel lontano 1991 un vigneto, denominato “Croce di Bracciano” a quasi 700 metri di altezza, a monte del Castello delle Stinche, meno di un ettaro, anzi 0,7 ettari per l’esattezza, e scegliendo come uve, invece del Riesling che mi sarei aspettato e che forse oggi, dovesse ripiantare la vigna, pianterebbe, Sauvignon e Chardonnay, 1940 viti del primo e 1750 del secondo.
Una vigna con esposizione nord ovest che domina Panzano dove nel 2013, annata del vino che ho assaggiato rimanendone tarantolato, lo scorso febbraio nella cornice della Stazione Leopolda di Firenze (tranquilli! Questa volta non c’erano convention di furbetti fiorentini, ma solo una pacifica e onesta riunione di vignaioli chiantigiani, quasi tutti devoti a Re Sangiovese), la vendemmia venne effettuata il 27 agosto per il Sauvignon ed il 15 settembre per lo Chardonnay, selezionando accuratamente le uve. Il risultato è un vino, biologico, Le Stinche Igt Toscana, che nasce con fermentazione lunghissima e paziente, posso dirlo? 70 giorni, con sistema di controllo della temperatura artigianale ma efficacissimo e tale da proteggere gli aromi (nel 2014 la raccolta delle uve è avvenuta contemporaneamente) per un risultato che ci porta a livelli di complessità, purezza, integrità, mineralità quasi alsaziani, o tedeschi, o altoatesini ma al massimo livello (roba che potrebbero tirare fuori solo Lageder, la Cantina di Terlano, Plieger e qualche piccolo vignaiolo in Val Venosta o Valle Isarco), per un bianco emozionantissimo profumato di agrumi, spezie, erbe aromatiche, ricco di sapore, largo e succoso, di gran nerbo minerale, freschissimo, petroso, dotato di coda lunga affilata e persistente al gusto, ricco di sapore e di sapere. Un vino assolutamente da applausi! Male-benedetti ‘sti toscani!