Evitare prego battute pecorecce e ormai scontate, degne di un vecchio film di Alvaro Vitali, sul nome di questo vitigno. L’uva è una varietà seria, che merita rispetto (pare che sia di antiche origini e che le sue prime tracce risalgano “ai tempi di Catone il Censore (II secolo a.C.) che lo includeva tra le varietà portate in Italia durante le migrazioni greche”, ed è oggetto di un serio processo di riscoperta nelle Marche e in Abruzzo, regioni che si contendono il merito di questo repêchage. Anche se a metà dell’800 era presente anche in Umbria, Lazio e Puglia.
Sto parlando del Pecorino, varietà a bacca bianca che matura presto e preferisce i siti collinari freschi ed elevati che negli anni Ottanta a causa della sua scarsa produttività era stata sostituita da vitigni più generosi. Sulle reali origini del nome di questa cultivar non ci sono reali certezze, anche se tra le varie ipotesi la più divertente e romantica è quella che lo vorrebbe legato alla pratica della pastorizia transumante, tipica dell’Abruzzo: si dice che le pecore andassero pazze per questo tipo di uva che, maturando prima delle altre varietà regionali, era dolcissima nel periodo del loro passaggio, verso metà settembre. Transumanze dei pastori e delle loro greggi, che tradizionalmente avvengono nelle regioni dove appunto si trova il vitigno Pecorino.
In questi anni abbiamo avuto modo di conoscere e apprezzare alcune letture del Pecorino (vino) offerte da produttori come la marchigiana
Cocci Grifoni, che tanto ha fatto per favorirne la diffusione, le abruzzesi
Cataldi Madonna e
Pasetti, l’ascolana
Velenosi. Oggi mi piace segnalare invece l’annata 2010, ancora in splendida forma, del Pecorino proposto da una vivace cantina cooperativa abruzzese, la
Cantina Frentana, attiva dal 1960 e dotata di un
Progetto Qualità che comprende quasi cento vigneti selezionati nelle zone migliori e sottoposti a cure particolari per dare vita ai vini di punta aziendali.
A costituire per me una garanzia di serietà di questa cantina è il fatto che ne sia consulente una persona seria e capace come l’agronomo ed enologo piemontese
Maurizio Gily direttore di
Millevigne, che del progetto del
Terre di Chieti Pecorino Donna Greta, bianco di punta della cantina, è stato l’advisor, mentre i meriti principali vanno all'enologo Gianni Pasquale, suo compagno di università, all'agronomo Maurizio Piucci e ai due o tre viticoltori che producono le uve scelte per questa selezione. E ad un grande terroir, di cui Gily si dice sempre più convinto, quello situato tra i contrafforti della Maiella e la Costa dei Trabocchi.
Donna Greta, notate la raffinata eleganza dell’etichetta e del packaging del vino, é vinificato in acciaio, con lieviti indigeni e macerazione sulle bucce: segue elevage sulle fecce fini per un anno e affinamento finale in bottiglia. Maurizio Gily mi ha raccontato che “l'idea di fare questo vino ci è venuta degustando l'uva in maturazione, una pratica piuttosto noiosa che facciamo noi tecnici separando buccia, polpa e semi e assaggiandoli separatamente per cercare di valutare empiricamente la maturità aromatica e fenolica. La particolarità della buccia del Pecorino, almeno di questa zona, è di non lasciare sapori amari (come il Trebbiano) ma invece un bel fruttato. Per questo abbiamo pensato di rischiare una breve macerazione sulle bucce, e non a bassa temperatura, ma sui 20 gradi. Il 2010 è stata la prima prova ma il risultato ci è piaciuto subito quindi non abbiamo cambiato quasi nulla nel 2011, che forse è anche migliore (ma poi è questione di gusti)”.
Unico punto non perfettamente del ragionamento su questo vino è il prezzo, che al punto vendita aziendale è di 13 euro, che per una cantina sociale sembra già tanto, anche se il prezzo ex-cellar per il commercio é intorno alla metà. Tecnicamente va sottolineata la scelta intelligente di fare un vino ben secco con soli 2 grammi zucchero per litro e non piacione, adatto all’abbinamento ad una cucina di mare saporita, pesce arrosto alla griglia, crostacei ma anche carni bianche. Un vino di buon corpo e struttura, bilanciato dalla tensione acida e minerale tipica del vitigno e quindi di beva piacevole, con una buona complessità aromatica.
Al mio assaggio l’ho trovato così: colore paglierino brillante luminoso, naso fitto, compatto piuttosto caldo, tutto fieno, fiori secchi, nocciola non tostata, agrumi, con un bell’accenno minerale e un ricordo di weissbier. Attacco in bocca ben secco, asciutto, senza compiacimenti, poi il vino si dispone largo, consistente, cremoso, con un retrogusto che ricorda nitidamente la pesca bianca, con qualche simpatica ruvidezza tannica ma con grande nerbo scattante, continuità, finale lungo e diritto e un preciso ritorno naso bocca.
Un vino goloso, materico, che si fa bere molto bene e presenta un’eleganza sorprendente, davvero notevole per questa tipologia. Provare per credere.
