Ancora più del Nebbiolo e della Barbera d’Alba, che pure vi sono coltivati con validi risultati, e con legittime ambizioni da parte dei produttori è indubbiamente il misterioso vitigno Arneis (“di origini ignote. Rientra nel gruppo delle Bianchette piemontesi e liguri” sentenzia il ponderoso tomo Vitigni d’Italia), il vitigno simbolo e il motore dell’economia vitivinicola di quella zona bellissima, sinistra Tanaro, poco distante da Alba, che è il Roero.
Dati purtroppo “aggiornati” solo al 2010 del sito dell’Enoteca Regionale del Roero parlano di 700 ettari vitati e di 5 milioni e oltre di bottiglie prodotte di questo vino che in passato veniva definito di volta in volta Renexium, Nebbiolo bianco, bianco Arnesi, frutto di un vero e proprio “rinascimento” partito alla metà degli anni Settanta, quando la sopravvivenza dell’uva era ridotta a pochi filari situati all'interno di vigneti di Nebbiolo, per merito di alcuni viticoltori e produttori che anche grazie all’evoluzione della tecnica enologica, che consentiva il controllo delle temperature di fermentazione, pensarono di poter trattare al meglio queste uve particolari dal carattere difficile - Arneis, nel dialetto piemontese, significa "bambino discolo" – di cui non riuscivano a prendere “le misure”.
Alcuni dei protagonisti di questo recupero, accanto ad Alfredo Currado e Bruno Giacosa furono, in pieno Roero, alle porte di Canale d’Alba, Piero Bovone e Francesca Rapetti, che tra il 1975 e il 1978 decisero di piantare qualcosa come 12 ettari di Arneis sulla collina Cornarea (così definita sin dall’anno Mille) a poco meno di trecento metri d’altezza, traendo giovamento da un terreno perfetto per il vitigno composto da arenarie, rocce sedimentarie di origine marina miste a calcare, argilla e sabbie risalenti al Pliocene (è tutt’ora possibile trovare fossili marini) e un’elevata presenza di magnesio.
Con il passare degli anni, con l’entrata in azienda anche dei figli Gian Nicola Bovone, enologo, e Pierfranco Bovone, la Cornarea è diventata non solo una delle aziende pioneristiche, ma delle aziende simbolo dell’Arneis, non solo per il vino base, ma per alcune altre tipologie come il passito Tarasco e la vendemmia tardiva André.
Abbiamo detto della particolarità dei terreni su cui giacciono i vigneti che conferiscono non solo ricchezza di sapore e sapidità spiccata, ma grazie ad una forte quota di magnesio danno una caratteristica mineralità e una spiccata capacità di invecchiamento. Ogni tanto qualche fortunato, anche il sottoscritto, ha avuto modo, rimanendo sbalordito, di toccare con mano, anzi con naso e palato, l’incredibile capacità di resistenza e di evoluzione nel tempo degli Arneis rimasti sempre a riposo nelle cantine della Cornarea.
Ricordo un 1983, degustato direi sei-sette anni or sono, che mi lasciò senza fiato e che descrissi con queste parole: “Colore paglierino oro splendido, brillante luminosissimo multi riflesso, naso intensamente affumicato e minerale, ancora con una grande freschezza, vivo, fragrante, incisivo, con leggere note di incenso e spezie orientali, un palato dove continua e si riverbera la nota leggermente dolce, affumicata, speziata, con grande ricchezza di sapore, accenni di miele, acidità nervosa che spinge e poi note terziarie di sottobosco e zafferano che tendono a svilupparsi e aprirsi nel bicchiere, e una bocca ancora con grande allungo, energia e vitalità e una bella componente minerale”.
Questa lunga gittata da grande vino bianco era rimasto un dato, un plus, a conoscenza degli amici e di qualche visitatore della cantina fino a quando Pier Bovone, che di queste vecchie bottiglie è particolarmente orgoglioso e che è impegnato in azienda pur essendo avvocato, non ha pensato bene che di questa tenuta nel tempo bisognasse dare pubblica prova.
Darla non solo ad amici e conoscenti, ma ad un mercato fatto di appassionati più esigenti e maggiormente in grado capire le particolarità di un vino. In occasione del Vinitaly ha fatto uscire, ancora con etichetta provvisoria, oltre al Roero Arneis 2013, già ottimo ora fresco d’imbottigliamento, ben secco e largo sul palato, dotato di una godibilissima “fruttuosità”, un Roero Arneis, come definirlo... (riserva?) annata 2011 denominato Enritard, con una dizione tra il francese e il dialetto roerino, restato per due anni in affinamento in acciaio e oggi disponibile in 3000 bottiglie e 150 magnum.
Io, che non sono un produttore e non rischio, sarei magari uscito con un vino ancora più invecchiato, ma comincio ad accontentarmi di questa idea di un Arneis della Cornarea cui viene lasciato più tempo per riposare ed esprimersi e sviluppare tutte quelle sfumature che, amplificate, avevo trovato in quel mirabolante 1983 bevuto dopo oltre vent’anni.
Un gran bel vino questo Roero Arneis Enritard, colore paglierino squillante, naso di assoluta fragranza floreale, con sfumature tra il mughetto, il fiore d’arancio e il biancospino, leggeri accenni agrumati e di miele d’acacia, a costituire un bouquet elegante e delicato, ampio in bocca, dotato di una grande dolcezza espressiva, di un nerbo preciso e vivo, di una componente salata e soprattutto minerale che timidamente comincia a dar testimonianza della propria capacità di svilupparsi e diventare protagonista.
Un vino delicato, di grande armonia, dotato di un bellissimo allungo, di una precisa verticalità, una prova di stile che dimostra come all’Arneis come vino da invecchiamento (senza inutili passaggi in legno piccolo) si possa e debba credere. Come fanno, da sempre, su alla Cornarea…
