È ottobre ormai, ma una delle ultime falene sbatte cieca contro il bulbo incandescente della lampadina nuda che pende al centro del ventilatore a soffitto, le cui pale hanno smesso da giorni di vorticare pronte al decollo. Dovrebbe essere autunno, ma ancora si percepisce l'attrito dei corpi nell'aria umida, che a star fermi si forma la condensa addosso.
Eccoti lì, con le tue lunghe gambe rannicchiate sulla poltrona di vimini in terrazzo nell'ultima notte che segna il confine con l'estate, a guardare la luna quasi piena. I tuoi occhi superano la palla color crema e vanno oltre, in un orizzonte che non si riesce a disegnare. Quando si lanciano così gli occhi alla luna, si va a pesca in un lago di pensieri con una lenza troppo sottile, così che continuano a sfuggire.
Nelle mani il bicchiere di vetro grande, stretto come fosse un'immagine precisa che cerchi di trattenere, sanguigna, come il vino che si appoggia indugiando dopo il sorso sui bordi, appena sotto l'impronta delle tue labbra. Il colore è ematico e il riflesso della lampadina lo accende. I profumi sono abbracci ad ondate come le maree: si infrangono prima i brividi del muschio e delle foglie umide di terra grassa e ferrosa, poi i rovi bassi di rose selvatiche e la dolcezza di resina di cipresso, calda ancora del sole del giorno. E poi frutta rossa di bosco, densa da cucchiaio.
Il sorso delle olive marroni e grandi del sud, di quelle che il succo scivola via all'angolo della bocca dopo il morso, è solo l'effetto salino sulle marasche mature, insieme all'acidità di qualche chicco di melograno e gocce di arancio rosso. I tannini sono come mani di uomo: ruvide di carta vetrata a grana sottile, che graffiano e accarezzano, decise e calde. Il vino è preciso e non sembra voler scendere, resta sulle labbra e in fondo alla gola, mentre tu stringi più forte il bicchiere, quasi potesse - stringendo - accorciare la distanza da quel pensiero, o dalla luna. Faraway, so close.
Soundtrack: U2 - Stay (faraway, so close)