Sono solo VSQ, forse il livello più basso della base delle denominazioni spumantistiche italiane, le “bollicine” che voglio presentarvi, ma sono così sorprendenti e ricche di particolarità e soprattutto di alto livello, che alla fine la denominazione non “flamboyant” finisce con il contare poco. Il vino è un metodo classico, con i suoi bravi 36 mesi di affinamento sui lieviti, e viene provincia di Vicenza, dal cuore della Lessinia, la bella zona collinare, ricca di testimonianze fossili, a cavallo tra le province di Verona e Vicenza. Lessinia ovvero Durello, penserete, ovvero il vitigno identitario e autoctono, l’uva
Durella (o Durello), “una vite antica e rustica che dona uve dorate la cui caratteristica fondamentale è un tipico sapore acidulo ed una buccia spessa e ricca di tannini: sostanze polifenoliche che contribuiscono tipicamente a determinare la struttura corposa dei vini rossi, qui presente, così attestano i documenti, sin dal Medioevo.
Un’uva dall’acidità indomabile o quasi, ma ricca di sapore e di freschezza, perfetta per la spumantizzazione (quanta ne è andata – e ne va ancora in Germania – per la produzione dei Sekt tedeschi!), con un sapore particolare data dalla natura vulcanica dei suoi suoli. Fuoco fuochino, direi, non siete andati lontano, ma questo metodo classico della Società agricola
Bellaguardia di Montecchio Maggiore, è un vino, come il suo “gemello” Zero,
di cui ho scritto recentemente qui, sorprendentemente caratterizzato non tanto dalla Durella, la cui percentuale nella cuvée è limitata al 30%, bensì, e non ve l’aspettereste mai, da quella grande uva che è il Pinot bianco, presente con un rotondo 70%.
Come sia avvenuta questa scelta non di integrare, come altri produttori della Lessinia fanno, il Durello con Pinot nero o Chardonnay, bensì con il più elegante (Riesling a parte) dei vitigni a bacca bianca, cercherò di farmelo spiegare, la prossima volta che li incontrerò, da Marco Caltran, figlio del fondatore dell’azienda Mario Caltran, e da Isidoro Maccagnan, che co-conduce l’azienda, posta ai piedi dei Castelli di Bellaguardia e della Villa, i castelli di Giulietta e Romeo, secondo
la leggenda narrata nel Cinquecento dal conte
Luigi Da Porto.
Ma visto che i vigneti dell’azienda “giacciono su suoli che si sono evoluti su rocce carbonatiche con depositi argillosi. Hanno una tessitura media ma con pietrosità elevata, con reazione moderatamente alcalina, suoli ricchissimi di minerali”, e che parte dei vigneti insistono su notevoli pendenze, allevati su banchine o gradoni che arrivano ad avere tre metri di dislivello l’uno dall’altro con la pergola trentina, questa scelta si è rivelata azzeccatissima e consente di ottenere due vini, l’Extra Brut e lo Zero (senza dimenticare La riserva di Mario affinata addirittura dieci anni e con una prevalenza del Durello nella cuvée, nonché il Durello in purezza Romeo) davvero ragguardevoli. Merito delle uve, del terroir, del savoir faire dei produttori, e credo anche delle particolari condizioni di lungo affinamento delle cuvée, che si svolgono nientemeno che in grotte poste con condizioni di temperatura naturali, umidita e ventilazione costanti.
Un’estensione di 1475 metri, di cui 1186 relativi ai vani artificiali e “289 alle 25 cavità naturali intercettate nello scavo della pietra tenere o pietra di Vicenza, e dovute a fenomeni di epicarsismo”. Extra Brut e lo Zero sono fratelli con lo stesso uvaggio, ma a parte l’annata attualmente in commercio (il prezzo 12 euro franco cantina alla distribuzione), 2009 per lo Zero, 2010 per l’Extra, la differenza sostanziale è che lo Zero non ha liqueur e solfiti, mentre l'extra non ha liqueur ma un po di zucchero (4 grammi litro) con una leggera aggiunta di so2, che tutti adottano. Nello Zero avviene una leggera "ossidazione evolutiva", che fa pensare che non tutte le ossidazioni vengano per nuocere.
Tornando al nostro Extra Brut 2010, uve provenienti dal vigneto degnominato Galantiga, posto nel versante a sud della collina dei castelli di Giulietta e Romeo a 200 metri di altezza, è un vino, come lo Zero, che mi ha colpito per il suo carattere spiccato e la sua schiettezza. Paglierino brillante luminoso il colore, fine e molto continuo il perlage, e subito un naso che “parla” di Lessinia e di mineralità e sapidità.
Un naso ben secco, appuntito, che richiama pietra focaia, agrumi, fiori bianchi e frutta secca non tostata, di grande precisione e freschezza, nitido, accattivante, che ti invita ad “entrare” nel vino. L’attacco in bocca è vivo, di grande energia, diritto, di notevole pienezza e salda struttura, sapido e cremoso, con qualcosa che ricorda il burro salato ed in fase di retrogusto la mandorla, ed il vino mostra una bella continuità, una persistenza lunga e piena di sapore e una vivacità e un grande bilanciamento in tutte le sue parti, che invitano al bere. Abbinamento perfetto il baccalà, ovviamente alla vicentina…