Probabilmente la massima espressione della Malvasia Istriana esplorata fino ad ora: il racconto potrebbe terminare qui, e potremmo tutti assieparci alle mura di Komer dove il Marko s'agita tra le sue vigne sparse.
Ma sarà il caso di spiegarne la ragione, o almeno provarci: a partire dal color sole d'inverno, velato di nebbie. Soffiato di sospiri. Marezzato di vento. Siamo sul Carso, venti chilometri di mondo a parte.
La dichiarazione è immediata: appena il naso si fidanza con il cristallo, hai tutti i precursori malvasisti, precisi e lineari. Ma c'è un però: stanno lì come sdraiati su una velo di sabbia adriatica arroventata dall'estate, asciutti. La mela matura, laggiù, e cose fresche dell'orto: brillanti. Affilato: quasi tagliente nel mezzo, teso sul finale.
E poi l'abbraccio del sorso, seducente: così chiaro e succoso da incartare il palato, metterlo via e restituirlo bagnato e salivante dopo decenni. Fitto senza essere spesso, trionfa di chiarezze, limpido fino all'abbaglio, giusto fino al confine dove il piacere sconfina nell'amore.
E in quell'istante sai che non sarai più obiettivo: che quell'esitazione amarevole alla fine ti pare esatta, e quella chiusura dilagante ti pare richiesta, e quel finale che non vorresti arrivasse mai ti pare indispensabile a compiere il capolavoro.
Il bicchiere è finito, e hai gli occhi lucidi: una volta su un milione, capita.