Montefalcione in provincia di Avellino, sulle colline Irpine, è uno dei due comuni che insieme a Lapio è intersezione di due DOCG, Fiano e Taurasi. A metà tra le piccole realtà rurali e i grandi produttori, troviamo anche un interprete insolito, con un modo tutto particolare di leggere la viticultura campana. Si tratta di Joaquin, la cantina di Raffaele Pagano, un produttore esuberante ed energetico che racconta il suo stile dicendo che "l'uva è un pretesto per firmare l'annata". Così succede che non si esce ogni anno con la stessa etichetta, e se il 2008 è stata un'annata che ha donato alle uve una clamorosa acidità in vendemmia, con la quale si è prodotto un Greco freschissimo che ancora oggi nel calice ne beneficia, nel 2009 la produzione si è focalizzata per esaltare l'annata più opulenta con una vinificazione particolare delle uve di Fiano.
Nasce il Vino della stella 2009, un Fiano di Avellino DOCG frutto delle uve del vigneto di 1,5 ettari situato a Rogliano, circa 600mt sul livello del mare, a far da belvedere su Lapio. Una resa molto bassa in vigna e una vinificazione decisamente inusuale per la DOCG dati i 20 giorni di macerazione sulle bucce in vasca di cemento, seguita poi da un anno di riposo in bottiglia, fanno di questo fiano un vino curioso e affascinante. Niente a che vedere con le bottiglie dove la componente minerale si spinge ai confini dell'idrocarburo, e nessun tipo di ruffiana dolcezza o eccessiva carica alcolica, nonostante una lavorazione che indubbiamente stressa gli acini. Il calice è dorato ma senza cornici aranciate, e tradirebbe sovrabbondanza di frutta, se non fosse che appena si avvicina al naso sprigiona note decisamente non banali sostenute da scintille di freschezza di limone. Il gheriglio della noce e la polpa di mango sono due elementi dominanti, con cenni di tamarindo fresco e un lieve velo di miele di zagara a donare ulteriore piacevolezza. L'assaggio lascia nuovamente sorpresi perchè non c'è densità, ma un corpo equilibrato carico di agilità dove torna il maracuja con i suoi semi quasi citrini, e a chiudere quasi pungenze canforate e di grafite, firma autografa di una terra vulcanica che non molla nessun ceppo di vite cresciuto sulle sue coste.