IGTP Romangia Rosso "Ottomarzo" - Dettori 2007

Per prima cosa, una bella dose di pajura, a leggere la retroetichetta: 16 gradi che non son patate. Poi seguendo, tutte quelle prescrizioni, dichiarazioni, intenzioni. Così fitte e martellanti che, uffa.

Poi lo versi. E tutto il resto è silenzio.

C'è quel colorino che tra a metà tra il lilla e il nulla, sagacemente scarico. Lasci prendere fiato nel bicchiere, che s'illumina di limpidezze al primo goccio, acquisendo nebbia e sostanza via via che mesci. All'ultimo tanta roba e tanta materia che s'aggrappa al verto, dimentico di stuchhevoli viscosità.

Il profumo, che cos'è. Vasto, ricco delle cose rosse di frutto, più verso il lampone e la susina, più aperto, più radioso, più cangiante. Più fulgido e fulminante, più seducente, ecco. Poi quella sensazione sorridente di bicchierini al termine dei pranzi delle sagre, unico sentimento d'alcol, saturnale e ieratico allo stesso tempo.

Poi c'è il sorso, il sorso. Che ti ricordi quel fremito a leggere la gradazione, quel pensiero rovente: e invece. Ecco la freschezza, ecco il brivido nervoso che attraversa l'assaggio come una saetta scoccata di fretta. Ecco il tiro poderoso e schietto, in cui risalgono tannini lappati e durezze tattili, finalini anticipati e prodigiose risalite.

Di tutto ti resta l'idea di una bevibilità omicida, un assurdo che si compie. E per questo anche più credibile. Micidiale.