Ed eccoci a parlare di un vino che nasce in una delle più belle tenute, in uno dei posti più belli e affascinanti che io abbia conosciuto in trent’anni di onorata (almeno spero) attività di cronista del vino. E’ una zona, situata nel sud del Trentino, quasi al confine con il Veneto, un’area dove dominano piuttosto Pinot grigio e Marzemino, e che grazie all’opera di un personaggio illuminato e di squisita classe come il marchese
Carlo Guerrieri Gonzaga (oggi affiancato dal giovane figlio Anselmo), è diventata la terra dove cresce quello che ogni probabilità è il migliore taglio bordolese italiano.
Si sarà capito che sto parlando della
Tenuta San Leonardo e del
mitico San Leonardo, che nasce da un sapiente assemblaggio del vino di diverse uve, vinificate ed invecchiate separatamente: Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Carménère e Merlot, e rappresenta, a mio modesto avviso, il migliore vino rosso trentino insieme a qualche Pinot nero (ad esempio quelli di Pojer e Sandri ed Elisabetta Dalzocchio) e a qualche Teroldego e qualche altro uvaggio, ma un esempio splendente di personalità, di eleganza, di stile. Un vino, insomma, che è misura perfetta di chi lo produce.
Ma non è del San Leonardo che, per oggi, intendo parlarvi, né degli altri due rossi, Terre di San Leonardo e il Merlot Villa Gresti, prodotti in vigneti che definire dei giardini, circondati da boschi, è poco. Voglio parlarvi di un vino bianco la cui esistenza ho scoperto per caso, una diecina di giorni orsono, trovandomi a testare per l’ennesima volta un rivoluzionario nuovo calice –
di cui ho celebrato la grandezza qui – presso la
Casa del vino della Vallagarina a Isera, a poca distanza dalla Tenuta San Leonardo. Per vedere come il suo bicchiere funzionasse bene anche sui vini fermi,
Luca Bini, il deus ex machina della Casa, ha stappato un Sauvignon, un Igt Vigneti delle Dolomiti 2013.
Grande la mia sorpresa nello scoprire, guardando la raffinata etichetta, che il vino, denominato
Vette di San Leonardo, portava l’antico e nobile stemma di San Leonardo e dei Guerrieri Gonzaga. Morale della favola. Si tratta di un
Sauvignon, imbottigliato dallo Château trentino, da uve che voci di corridoio mi dicono provenire dall’estremo nord del Trentino, dalla zona di Roverè della Luna, giusto al confine con la Provincia di Bolzano, dove salendo in autostrada vi trovate a superare la "Stretta di Salorno" o "Chiusa di Salorno", da vigne da 6 a 15 anni d’età, con resa di 90 quintali per ettaro.
La vinificazione, esclusivamente in acciaio, prevede una permanenza di cinque mesi del vini, con bȃtonnage, sui propri lieviti fini. Che dirvi, provato in un bicchiere normale e nel super calice di Luca Bini, con me c’era un altro caro amico e giornalista trentino, Tiziano Bianchi, questo Sauvignon non mi è sembrato niente male.
Colore paglierino brillante vivo, molto luminoso e squillante, presenta un bel naso tipico, incisivo, con note di sambuco, accenni di foglia di pomodoro, frutta esotica, con una bella fragranza e salinità e una bella vena minerale. Molto bene anche la bocca, ampia, grassa, ricca, consistente, ma dotata di una bella finezza e di un gran nerbo, con persistenza lunga, vivacità e pienezza di sapore. Insomma, per gli amanti del Sauvignon, un vino da tenere in gran considerazione.
Non avrà l’allure, il fascino, la classicità del San Leonardo (ma quanti vini in Trentino l’hanno? Pochi…) ma è elegante come tutti i vini di questo meraviglioso angolo di Bordeaux in terra trentina. Chapeau!