Raboso, rabbioso: ma l'origine del nome non è certa. Certa invece è la particolare venatura fresca dei vini ottenuti da questa vite rustica, robusta, così resistente da superare - volte - l'insidia della fillossera.
Veneto da almeno una manciata di secoli, è stato a lungo confinato nel mestiere oscuro del taglio o dei vini da birocciai. Ora trova linfa, e apprezzamento, anche in purezza.
Quello di Buoso porta un gran tocco verde erbaceo, di graspo quasi: e di caffè forte a seguire. Fiori rossi, diresti garofani se fossi aduso ai garofani, e un finale polveroso.
Attacco di polpa, con il richiamo immediato del caffè, e di una tensione alcolica che fa guardare con sorpresa ai 12 gradi emmezzo dell'etichetta. Il sorso è aggrappante, il tannino ruvido, come dev'essere, senza indulgenze: lo immagini a zaffare enormi polente, vulcaniche sopresse, ma anche qualche seppiolina in umido. Poi il sorso declina. Ma piano, prendendosi tutto il tempo, tutta la sete.
Bicchiere democratico.