Messaggio in codice: Ninuzzo beddo perdonami tanto che oggi vado di fretta e ci rifaremo con calma con ‘o Catarratto tuo. Ciò detto, preciso subito che quello di cui sto per parlarvi è una cosa seria. E che quando dico Grillo, non accenno ad un “vivace” senatore carrarese, che ebbe modo di occuparsi anche delle Cinque Terre e del suo magnifico passito Sciachetrà, né tantomeno, gli Dei me ne scampino, di un noto e barbuto attivista comico e politico italiano.
Parlo di una cosa seria, di una grande uva identitaria, ‘u Grillo, presente soprattutto in Sicilia occidentale e nel marsalese, tanto da costituire, insieme all’Inzolia e al Catarratto (giù il cappello anche davanti a queste uve) la spina dorsale di uno dei più grandi, anzi superbi, vini italiani e del mondo, ripeto, del mondo, il meraviglioso Marsala. Le cui migliori espressioni spesso sono Grillo in purezza.
E con il Grillo, grazie a quella meravigliosa rivoluzione che ha cambiato da un tot d’anni, quanti non voglio precisarlo, ognuno ha le sue idee ed io, permettetemi la riservatezza, ma siamo in Sicilia, preferisco tenermi per me le mie…, si producono non solo vini di alto grado alcolico, corposi e succosi, insomma, da Marsala, ma nei posti giusti questa bella uva tira fuori dei bianchi di grande sapidità e nitidezza aromatica, dotati da una freschezza, un corredo acido, una vitalità, che lasciano senza fiato.
Vini bianchi che, incredibile ma vero, anche se non siamo in quel posto unico che è l’Etna, con i suoi meravigliosi terreni vulcanici, i suoi lapilli, i suoi tufi, hanno una tenuta nel tempo e una capacità di evoluzione da applausi. E la cosa bella è che ogni Grillo, a seconda delle zone in cui nasce, ha le proprie particolarità, le proprie sfumature, il proprio stile.
Uno che al Grillo, parlo dell’uva, ma che pensate!, dà del tu e realizza vini che ti… sgrillettano il palato, è un giovane simpatico, non furbetto e non modaiolo, a differenza di qualche sua collega fimmina, che ha capito presto come gira il mondo, un ragazzo proprio di Marsala, un artigiano del vino, Nino “Ninuzzo” Barraco.
Uno di quei tipi intelligenti e riflessivi, lo capisci subito appena li vedi, secondo il quale "l'idea aziendale non è quella di un vino "perfetto", ma di un vino riconoscibile per la sua personalità, in cui le note dissonanti partecipano prepotentemente alla caratterizzazione dello stesso. Per raggiungere tale obiettivo si evita accuratamente l'omologazione apportata dall'intervento di tecnici, affidandosi alla complessità e variabilità della natura".
Un artigiano che produce nemmeno ventimila bottiglie lavorando esclusivamente su vitigni siculi e identitari, su cinque vitigni vinificati in purezza, per i bianchi Grillo, Zibibbo, Catarratto e per i rossi Pignatello (o Perricone) e Nero d'Avola.
Barraco controlla tutte le fasi della produzione, dal vigneto alla cantina, occupandosi direttamente delle pratiche agronomiche ed enologiche, arrischiando talvolta “ricerche e sperimentazioni finalizzate al raggiungimento di una interpretazione del vino sempre più fedele al luogo, al microclima e all'esperienza umana che lo producono”, raccogliendo l’uva a mano e poi con un protocollo di vinificazione essenziale: “l’uva pigiadiraspata inizia la macerazione sulle bucce, quattro giorni circa per i bianchi e tredici/quindici per i rossi, per passare poi alla pressatura con torchio verticale, idraulico-manuale.
La fermentazione alcolica avviene spontaneamente, a temperatura non controllata, in piccoli silos di acciaio di 2.500 litri grazie ai lieviti indigeni non selezionati presenti nelle bucce. Solo dopo la conclusione della fermentazione malolattica, che si svolge spontaneamente, si interviene con un minimo di solfiti per bloccare i batteri lattici. Il vino matura fino a maggio in acciaio. Il vino viene imbottigliato senza subire microfiltrazioni e chiarifiche”.
E il risultato è stupendo in tutti i vini e nel Grillo in particolare – ne ho già brevemente parlato nel primo numero della nuova rivista dedicata all’arte di vivere senza glutine, al nuovo mensile di cucina del gruppo RCS, Free dove, troppa grazia Sant’Antonio, mi occupo della parte vino – che è un vino, in etichetta porta l’Igt Terre Siciliane, che nasce da vigneti posti su terre rosse con presenza di sabbia in superficie, e che quando l’ho recentemente riassaggiato - e in quei giorni Nino diventava padre (augurissimi!) - mi ha lasciato senza fiato per la sua personalità.
Colore oro antico, naso fitto, varietale, intensamente petroso, dai profumi variegati che richiamano fiori gialli (ginestra in particolare) cedro candito e zafferano, accenni di liquirizia, non quella nera, ma il bastoncino, anice, e poi mandorla, agrumi a profusione, un qualcosa di appena salmastro (che il produttore definisce “colatura d’acciughe”) ed esplode poi con un gusto inconfondibilmente mediterraneo, grasso sul palato, eppure freschissimo, una freschezza e un’acidità da vino del nord, con profondità, ricchezza di sapore, pienezza.
Un vino di una solarità espansiva, di una felicità espressiva, di una bellezza, di una originalità (evviva la diversità abbasso l’omologazione!) da lasciare senza fiato. E questo è il Grillo, signori miei, in una delle sue più nobili espressioni, un qualcosa che riscatta l’idea un po’ bizzarra di Grillo e non proprio esaltante che magari vi siete fatti in questi anni…