Pomice e ossidiana, pietre che compongono la spina dorsale di Lipari: frammenti e deiezioni di vulcani mai dimenticati, isole perdute, scorci di mare, tramonti roventi, acque adamantine.
Negli stretti filari ecco uva Corinto, Nero d'Avola, altri. Allo scriba, reggiano, viene un colpo quando legge che il Corinto dalle sue parti è chiamato Tarmarina: ricorda ancora quel grappolo spargolo, dolcissimo, amato dai ragazzi che in vendemmia lo arraffavano per il suo sapore di miele e la mancanza di vinacciuoli. Che regali ad altre latitudini questo inchiostro profumato è una epifania di rara bellezza.
Allora il bicchiere si fa nero nel cuore, rubino al bordo, scarlatto nei barbagli di luce. Ha un profumo stretto e delicato, una melodia di pochissime note: asciutto, austero, quasi introverso ma attraversato dall'urgenza di un'elegante sobrietà. Il frutto mirtilloso, l'intuizione balsamica, la linearità.
All'assaggio l'universo che attraversa il palato è dello stesso segno: nessuna dolcezza, piglio sicuro, passo fermo, appena un'esitazione nella seconda parte in cui il frutto s'arrotonda e si piega, e un buon allungo sul finale.
Micidiale bevibilità per un siciliano da 13 gradi emmezzo, che quasi ti pare la bottiglia finire troppo presto.
Bicchierone.