"Che non s'abbia a chiamarsi Lambrusco" bercia la dubbia autorità che comanda le cose del vino, e "Che cos'è?" chiede l'Uomo della Strada che dentro al bicchiere trova soprattutto uve Lambrusche, mh?
Da questo ed altri quesiti è opportuno districarsi con il Sottobosco nel bicchiere, che i Masini di Puianello coltivano un paio dei pochissimi ettari di Lambrusco di Montericco rimasti al mondo. E poi la Sgavetta e il Malbo, e la Grasparossa. Come una volta, quando nelle "tirelle" emiliane la Barbera stava di fianco alla Termarina che stava di fianco alla Lancellotta, e poi finiva tutto sotto i piedi dei bimbi.
Invece a Cà de Noci i vini non sono fatti con i piedi, ma con la testa. Molta testa, se questo non-lambrusco con tre anni sulle spalle esplode ancora di spuma, ed ha coraggio di sprigionarne bizzeffe anche il giorno dopo a bottiglia aperta.
Piace quel naso ematico tipico della rifermentazione tradizionale in bottiglia, piace quel frutto rosso ammiccante, piace quella strettezza spiritosa che conduce il finale fino ad una rustica eleganza.
Piace il sorso salato da morire, irrorato da un tannino vibrante e chiuso da un brillio agro che chiama l'urgenza di una fetta di salame, o un garullo di Parmireggiano da mille mesi di vecchiezza.
Faccia come vuole l'Autorità dei Nomi dei Vini: questo è un Lambrusco da sposare, possibilmente in giornata.