Accanto alle varietà bianche autoctone come Bombino, Verdeca, Bianco d’Alessano e, unico nel suo genere, il Moscato di Trani, la moderna viticoltura pugliese sta manifestando interesse anche per altre varietà autoctone (anche se spesso originarie di altre regioni). Ha riscoperto, rilanciato e fatto conoscere un vitigno semi aromatico come il Minutolo (che va chiamato così e non Fiano Minutolo), ha dato nuova dignità alla Malvasia e ha introdotto in diversi areali della regione una varietà tipicamente campana come il Fiano d’Avellino, dando ancora più spazio, lavorandolo in purezza, ad un vitigno già presente in regione (ad esempio nell’area di Gravina) come il Greco. E i risultati hanno cominciato ad essere interessanti, regalandoci non solo vini dotati di una buona identità varietale, ma ricchi di personalità ed in grado di riflettere il carattere delle zone da cui provengono.
Un risultato degno di essere segnalato l’ha ottenuto nella sua cantina di Minervino Murge, Tor de’ Falchi, un personaggio particolarissimo come Donato di Gaetano, economista con esperienze di studio e lavoro internazionali che formano un curriculum di tutto rispetto, che affianca al grande attaccamento alla propria terra e ad un’idea del vino inteso quale patrimonio culturale, una forte passione per un’espressione artistica del Novecento russo, il
Suprematismo, proposta dal pittore russo
Kasimir Malevich, che l’ha portato a costruire una cantina ipogea con un’architettura che si richiama al suprematismo stesso. Nonché a battezzare Suprematism rosé il suo eccellente Castel del Monte Bombino nero, recentemente importato e premiato in Giappone.
Innovative anche le etichette dei primi quattro vini prodotti (la vendemmia d’esordio è stata il 2012), con altri tre rossi base Aglianico e Nero di Troia in programma, ovviamente ispirate a questa forma d’arte che ha suggestionato il produttore. Tornando a noi Tor de’ Falchi oggi conta su 11 ettari di vigneto a contro spalliera con oltre 20 anni d’età posti nell’area della Doc Castel del Monte ed il Fiano che mi ha colpito (come pure il rosato: non ho ancora assaggiato il Rosso Puglia Boamundus ed il Moscato secco Santaloja) si chiama Chiancabianca (“si chiamano “chianche" i pavimenti in pietra calcarea pugliese, tipici dei Trulli di Alberobello e si chiamano così anche le lastre di copertura delle volte coniche (o chiancole, chiancarelle) che garantiscono l'impermeabilità”) viene da vigneti collinari posti a 200 metri di altezza in quel di Canosa di Puglia e nella zona precollinare della Murgia nell’area DOC Castel del Monte.
I terreni sono ovviamente calcarei, sabbiosi e tufacei, tali da assicurare freschezza e una buona struttura acida ai vini anche in annate calde e siccitose. La resa per ettaro è contenuta in 100 quintali di uva e la vinificazione avviene esclusivamente in acciaio, con un affinamento sulle fecce che si protrae per sei mesi. Caratterizzato da una bassa gradazione, solo 12 gradi, elemento abbastanza raro in un bianco del Sud, il Chiancabianca è un bel vino colore paglierino oro squillante luminoso, dotato di un naso caratteristico, fine, con profumi di mela e mandorla, di fiori bianchi e una spiccata nota salata e minerale.
La bocca è fresca, viva, salata, con ottimo equilibrio e verticalità, un gusto pieno e caldo e una notevole freschezza e vivacità. Gli manca forse un po’ di complessità (probabilmente il vigneto è giovane) ma dal punto di vista del sale e della piacevolezza e della capacità di farsi bere il vino è decisamente riuscito e merita di essere tenuto in considerazione.