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È una delle prime sere estive, non ancora per calendario ma per clima, e c’è un’elettricità nell’imbrunire che mi ricorda i tramonti siciliani quando si alza un po’ di brezza dal mare e viene a spettinarti i grani di sale rimasti nei capelli. In queste sere dove i colori del cielo sono quelli del fuoco, è l’istinto a portare alla scelta della bottiglia, perché il richiamo del vino del vulcano è come il canto delle sirene, che mi cattura. E in cantina cerco proprio l’Ulisse di Polifemo. Nessuno. Outis.
Ricordo la mattina di pochi mesi fa, l’arrivo presto a Trecastagni, appuntamento in piazza per un caffè prima di andare in vigna, prima che si alzi il sole. Perché anche se è solo aprile, quando c’è sole a 600mt il caldo sale su come da dentro la terra. Ciro Biondi ha l’eleganza del siciliano d’altri tempi e il
physique du role del pallanuotista, e parla un perfetto inglese ma con la cadenza siciliana al telefono con la moglie mentre aspetta il mio arrivo accanto al pick-up bianco con il nome del suo vino. Outis. E’ la prima cosa che gli chiedo, come fosse di rito, pur conoscendo già il rimando alle avventure omeriche ambientate dopo Scilla e Cariddi. Invece Ciro mi risponde “Perché io non sono Nessuno, ho solo ripreso quello che altri prima di me avevano iniziato cercando di prendermi cura di ciò che c’era e ascoltando la terra”. Mi porterà dopo a vedere la vecchia cantina dell’azienda in centro al paese, che, nata a fine 800, fu punto di riferimento di prestigio per i vini etnei fino al secondo dopoguerra, e che vuole riportare alla luce e farne la bottaia. Sì, perché i suoi antenati l’avevano scavata nella terra e lì non c’è bisogno di aria condizionata. Affacciandosi dalla porta ci si trova davanti una delle botti grandi ancora incastonate tra i muri spessi e il pavimento, e viene subito in mente come possa essere entrata da lì, se non che, come leggesse nei miei occhi lo stupore, Ciro mi ricorda che un tempo le botti venivano costruite dagli artigiani direttamente in cantina.
Outis, nessuno. Il concentrato dell’umiltà e della riscoperta della tradizione, della consapevolezza e della storia, delle radici. Ciro minimizza la sua mano nell’opera, mentre mi dice che dopo una macerazione piuttosto lunga il vino affina in barrique e poi matura ancora in bottiglia (e tra tutto passano quasi due anni) ma che è la terra e l’annata a fare le differenze. Non sono le sue parole a incantarmi, ma i suoi gesti mentre mi fa assaggiare le vinificazioni separate delle diverse porzioni di vigna pre-assemblaggio, chiedendomi di riconoscere la terra. Mi descrive così Cisterna fuori, Chianta, San Nicolò e Monte Ilice – miracolo della natura di sabbia vulcanica nera che sfuma al rosso a quasi 1000mt, che recentemente contribuisce solo in piccola parte all’Outis, perchè Ciro ha deciso di imbottigliarlo separatamente.
Un vino con le trasparenze limpide delle pietre preziose tagliate con maestria, i riflessi brillanti che sfuggono nel rubino dai bordi granata. Nel bicchiere il vulcano, specie in questo 2004 che ha consolidato col tempo la sua profondità. I profumi dei boschi di castagni, le note delle erbe e dei fiori spontanei tra le rocce piroclastiche, la frutta rossa garbata, senza eccessi di protagonismo, e la mineralità vivace che chiude con una bellissima nota di the nero. In questo gioco di spezie e freschezze di frutta la bocca sorride per la fine acidità che contraddistingue i vini di grandi escursioni termiche. L’Etna concentrato in un bicchiere di equilibri, e mi viene in mente quella battuta “da diario dell’adolescenza” che mischia Omero e proverbi dicendo “Il mio nome è nessuno, perché nessuno è perfetto”. Ecco Outis. Nella sua raffinata essenzialità di proporzioni,
Nessuno è perfetto.
Soundtrack: Mi votu e mi rivotu - Carmen Consoli e Mario Venuti (omaggio a Rosa Balistrieri)