Non tutti i produttori se ne resero conto subito: ispirarsi all’Alsazia solo per lasciare nel bianco un po’ di residuo zuccherino non era una grande idea. Si trattava anzi di una scorciatoia alquanto banalotta, un po’ come ispirarsi alla Borgogna solo per asfaltare lo sciardonné di vaniglia. Erano i primi anni ’90, il vino italiano sgomitava senza consapevolezza, perlpopiù.
E insomma la moda alsaziana imperversava, ma in terra di Verdicchio, vitigno “quadrato”, di per sé molto portato alle surmaturazioni, la seppero interpretare in pochi. A Jesi persino Sartarelli impiegò a prendere le giuste misure per il Tralivio e il Balciana, mentre Carlo Garofoli ci mise poco a dare la giusta tonalità alle uve, partorendo quel grande vino che è il Podium.
Poi c’era Matelica, terroir straordinario, ma introverso. Soprattutto ingenuo. Inconsapevole. Pochi sanno adesso che è uno dei 6-7 migliori territori bianchisti d’Italia (fuori di dubbio: entro quei 6-7 ci sta anche Jesi), figuriamoci 20 anni fa. Ci volle Aldo Cifola, agronomo e uomo di grande cultura del vino, per vedere la strada, con occhi da straniero. Aldo prese in mano l’azienda del padre Casimiro, la Fattoria La Monacesca, per portare all’apice la denominazione e fare uno dei massimi bianchi italiani, e lo dedicò a lui, chiamandolo Mirum, diminutivo “latineggiante” del nome. Casimiro ci ha lasciato giusto pochi giorni fa, mentre fra pochi giorni uscirà, quasi a passaggio di mano, questa versione 2010.
Superfruttato (albicocca netta) e contemporaneamente territoriale (agrumi, anice), con una nota di surmaturazione di estrema finezza (zenzero), è un vino che convince soprattutto al palato, grazie a doti di contrasto ed equilibrio che lo pongono tra le migliori annate di sempre. Il finale prorompente, eccezionalmente incisivo, garantisce vita decennale.
Darà il meglio di sé fra almeno 5 anni. Ma anche adesso…