Nella vita del sommelier ci sono molti volti. Ma l’emozione più bella è sempre quella dell' “ effetto memory-puzzle”, quel gioco che si fa associando tra quelle sparse capovolte, le coppie di tessere con figure uguali. Questo gioco di matching è ciò che avviene quando si incontra il produttore di un vino: finalmente all’etichetta si può abbinare un voltoo. E nella vita del sommelier si gioca andando per vigne, cantine, fiere, eventi e degustazioni.
Certo, quando sono stata per la prima volta nella zona di produzione del Verdicchio dei Castelli di Jesi le tessere che ho abbinato erano anche quelle delle vigne, dell’aria di mare che si spinge fino in collina, del sole autunnale che sa dare tepore anche nei giorni che precedono la vendemmia e delle vigne ordinate che pettinano i pendii. Poi ho abbinato il volto di Stefano Antonucci a più di una declinazione di Verdicchio, non solo a quello della riserva che porta in etichetta il suo nome. Il volto di Stefano Antonucci è nella tessera archiviata nella mia memoria un volto da uomo di mare alla Hemingway più che da vignaiolo, forse perché Barbara è così vicina alla costa adriatica che i segni che si possono leggere sono quelli del sole più che quelli della terra. E nel gioco di memory il suo volto si è indelebilmente associato ad una etichetta in particolare della sua produzione che credo lo rispecchi sia per schiettezza che per approccio filosofico anticonformista.
Il “Tardivo ma non Tardo” ha quello che i latini chiamavano “nomen omen” ("il nome è un presagio") cioè il potere evocativo di una parola associata ad un destino. E' un Verdicchio dei Castelli di Jesi prodotto in contrada Nidastore, da “nido degli astori”, falchi che venivano usati per la caccia nel Medioevo. Un verdicchio che viene raccolto surmaturo in pianta, quindi con una vendemmia tardiva, e che viene messo in commercio quasi tre anni dopo, dopo una lunga maturazione in cantina. Questa scelta rispecchia il carattere del produttore nella capacità di osare senza temere la pressione del mercato che impone disponibilità rapide di certi prodotti.
E’ questo che rende speciale il “non tardo” verdicchio di cui vi racconto il 2006, che si presenta già con i pregi di un vino grande e quasi inaspettato.
Le complessità fine dei fiori di costa come forsizia, ginestra e gelsomino e la freschezza dei sentori di erbe aromatiche marine come timo e salvia si trasformano al sorso in un fiume di mineralità quasi salina, avvolto in una fruttuosità di mango e ananas senza eccessivi carichi zuccherini. Un fiume, si, perché seppur ricco questo calice ha una beva fresca e decisamente fluida.
Stefano Antonucci confessa candidamente di aver pensato alla borgogna che tanto ama quando ha scelto di raccogliere e vinificare un vino che aspirasse a longevità d’oltralpe. E assaggiando le vecchie annate dei suoi verdicchio Le Vaglie e Riserva con sentori minerali che si spostano sull’idrocarburo e i terziari più nobili, non si può non ritenerlo un ottimo auspicio per il Tardivo non tardo che già oggi è così intrigante.
 "DOC Verdicchio dei Castelli di Jesi \"Tardivo ma non Tardo\" - Santa Barbara 2006")