C'è Ripasso e Ripasso. Trovarsi a fare la faccia accartocciata davanti all'etichetta, Ripasso, ricordando le marmellate da tagliare con il coltello, le granitiche concentrazioni, il delirio estrattivo di pochi anni or sono. E imbottirsi di pregiudizi, che qualche bicchiere potabile no, non t'ha convinto.
Poi versi il Villa Novare che accoglie la luce come un'epifania, altro che nergritudini: è bello rubino con non pochi barbagli propora, e pure brillante. Ha naso asciutto in cui i ricordi più seri sopravanzano largamente il frutto che pure capolineggia lungo tutto il respiro. C'è l'ombra dell'austerità in mezzo al calore, moderato. Trovi sì qualche accenno dolce, un caramellina alla fragola in fondo a tutto. Ma sono le tensioni di corde bagnate a regolare il ritmo, la china, la spezia.
Poi l'assaggi. E dimentichi quelle panoplie di ciliegie sparate con la fionda, e ti trovi addosso un vino salato, dinamico e diritto, che passa per sughi d'arrosto e vecchie bottiglie d'amaro, traversando un sorso che riesce ad essere, perbacco, elettrico. E laddove s'ingrossa grasso, che nel mezzo sì che s'ingrossa con tutta quella polpa, ti trovi strattonato dall'alcool con più gran forza di quei 13 gradi emmezzo, con un tiro di frusta. Snàp.
E non che sia per il breve finalino, anzi. Bicchiere in contropendenza, prezioso in onta alla larga tiratura, alle botti da un milione di litri, ai milioni di bottiglie e così sia.