Ecco che uno qualsiasi degli enospleen in commercio avrà un'eruzione cutanea solo a leggere il nome sull'etichetta, e il suo carico di miglionaia di bottiglie.
Ah, perfettina, questa bottiglia di vetro pesante: senza ombra di dubbio, e attraversata dal quel tocco volgarizzante che fa sempre sentire l'enospleen schiavo del suo complesso di superiorità. L'enospleen è una figura di degustatore di recente immatricolazione che sta all'indiesnob della musica rock contemporanea: triste, limaccioso e ricurvo beve solo vini complicati, prodotti possibilmente da vignaiuoli solitari di valli secondareie a bassa tecnologia, per raggiungere i quali è indispensabile un pulmino Volkswagen verde ramarro molto rovinato.
Esppure questo cabernò prodotto in Vallagarina in 13mila esemplari - questa è la 3526 - non ha nulla che non va: di certo più Leda Battisti che Giusy Ferreri, rassicurante, agevole. E la bottiglia si vuota in un attimo.
E' brillante, ma non troppo concentrato, ha il naso grosso di frutta e fine di spezia. Per dire, frutti neri e pepe, più telefonato non si può.
E anche il sorso è giustissimo: attacca veloce, cresce bene, s'allunga eloquente e si ferma a lungo sul palato.
Insomma, se fossimo enospleen staremmo qui a fare un esasperato esercizio di mindpipping per trovare il modo di non dire che questo bicchiere è buonissimo, fosse solo perchè lo fa Cavit, con i suoi miglionai di bottiglie.
Ma noi no, noi.