Rossese a dire Liguria: ma niente Liguria degli stabilimenti balneari, degli alberghi a picco sul mare, delle marinerie. Liguria "dentro", dove è improbabile infilar anche solo due passi in piano.
Solo se ci hai fatto un giro, nella Liguria "dentro", puoi renderti conto d'acchito del perchè il Rossese è perfettamente coerente con il paesaggio ligure dell'entroterra: scabro, arcigno, stretto in un pugno.
Allora leggi questa versione - è l'etichetta di ingresso dell'azienda di San Biagio della Cima - come un viaggio iniziatico: lieve al tocco della luce, fine, sottile allo sguardo, delicato e preciso come il suono di un diapason, di uno scarlatto lievemente bardato di riflessi ruggine. E' la prima sorpresa, quando leggi il valore di targa dell'alcool fissato a 14° netti.
Nel naso l'espressione della finezza e della ritrosia: piccoli frammenti da cercare, da trovare, da conservare con parsimonia, quasi con micragna. I frutti sono intuiti, le spezie appena accennate, gli accenni di campo - un fiore spontaneo appena abbozzato - flebili. La diafana persistenza si tiene e si prolunga.
la seconda sorpresa è di segno opposto, quando l'assaggio s'aggrappa al palato e lo esplode di stacchi nervosi ed elettrici, di ricchezza adrenalinica: un sorso asciutto eppure corroborante, umbratile e vibrante in un solo gesto, capace di impadronirsi del centro di tutto e rilasciarlo solo assieme ad angoli stretti ed amaricanti.
Un bicchiere che sa dire molto, a chi vuol ascoltare.
NB: notare l'etichetta: un manifesto lo-fi in sè e per sè.