Ho già celebrato lo scorso anno, definendolo “di gran lunga il miglior Vermentino che abbia mai bevuto in Toscana”, l’eccellente
Pagliatura opera della Fattoria di Magliano, distribuita in Italia da
Pietro Pellegrini, creata nel 1996 dall’imprenditore lucchese Agostino Lenci. Una bellissima tenuta, che ebbi modo di visitare a fine agosto 2013, accompagnato dal direttore e deus ex machina Lorenzo Scian in giro per i vigneti, circa 60 ettari, condotti im biologico dal 2011. Un angolo di Maremma ancora incontaminata dove lavorando sia su vitigni autoctoni, il Sangiovese innanzitutto, protagonista del Morellino di Scansano
Heba, dell’Igt
Sinarra, nonché del vino di cui parleremo, sia su vitigni internazionali, tipo il Syrah
Perenzo e l’elegante “Super Tuscan”
Poggio Bestiale (dal nome di un vigneto posto in posizione spettacolare), si ottengono vini di forte personalità.
Da due dei vigneti dove sono state piantate le vigne di Vermentino, ovvero Sterpeti e Tizzi, 250 metri di altezza, terreno a medio impasto ricco di scheletro, esposizione a Sud-Ovest, allevamento a cordone speronato bilaterale con densità di 6500 ceppi ettaro, vigne che sono ancora abbastanza giovani, visto che sono state piantate nel 1995 e nel 2000, viene prodotto un altro eccellente Sangiovese in purezza, ma rosato, purtroppo prodotto in 5-6000 esemplari che fanno prestissimo a finire, denominato Illario, un gioco di parole per ricordare il padre di Agostino Lenci, la persona a cui questo vino è dedicato, che di secondo nome si chiamava Illario.
Un rosato serio, con un carattere sapido così accentuato che fa capire che il mare non è lontano, visto che dista solo una quindicina di chilometri, e la sua vicinanza conferisce una personalità spiccata a questo rosato, Sangiovese in purezza, così come lo assegna al Vermentino. La tecnica di produzione del vino – la consulente, di nome, è Graziana Grassini, prevede la raccolta delle uve, a seconda dell’andamento stagionale, nella prima settimana di settembre, quindi diraspa-pigiatura soffice, breve macerazione prefermentativa a bassa temperatura, separazione del mosto fiore dalle bucce, defecazione statica a freddo, fermentazione a temperatura controllata in serbatoi di acciaio per 15, 20 giorni, maturazione sulle fecce fini per circa tre mesi.
Il risultato è un vino di grande duttilità quanto a possibilità di abbinamento a tavola, l’azienda suggerisce “antipasti e primi piatti di pesce, frittura, pesci bolliti, carni bianche e formaggi”, ma io direi verdure ripiene, melanzane alla parmigiana, umidi di pesce, che colpisce sin dal primo impatto per il colore, un rosa pallido, fragola di bosco con riflessi corallo, molto brillante, e per il naso lontano da ogni possibile idea di piacioneria caramellosa, ben secco, salato, con piccoli frutti di bosco freschissimi appena accennati, poi rosa di bosco, ciclamino, pesca bianca, a costituire un insieme molto fragrante e di assoluta eleganza.
Al gusto, sin dal primo impatto, l’Illlario fa capire di non essere giocato solo sugli aspetti fruttati, che pure sono delicatamente presenti, ma di essere un rosato che fotografa la personalità del territorio, così incisivo, secco, preciso, succoso e di grande verticalità, dotato di un bellissimo nerbo acido, di un timbro estremamente sapido e petroso, di una persistenza lunga che rende la beva piacevolissima, anche grazie al tenore alcolico non elevato, solo dodici gradi.
Un gran bel rosato, che vale la pena conoscere.