Si conosce poco, purtroppo, perché la produzione è piccola, e perché trovarli fuori regione è assai difficile, dei vini liguri, anche se pescando tra le varie denominazioni individuare autentici gioielli non è difficile. In bianco soprattutto, tra i Pigato e i Vermentino di Ponente e Levante (leggi Colli di Luni) e poi tra i Cinque Terre, ci sono veri tesori di sapidità e mineralità e anche tra i rossi, penso soprattutto al
Rossese di Dolceacqua, si possono trovare vini in grado di emozionare per la loro personalità unica.
Decisamente meno nota è un’altra denominazione, che come ricorda bene l’utilissimo volume
Vini di Liguria VinidAmare pubblicato nel 2008, viene ufficialmente istituita nel 2003, ma che precedentemente faceva parte della grande Doc Riviera Ligure di Ponente. Sto parlando dell’Ormeasco di Pornassio o Pornassio tout court, che ha la propria
heimat in
Valle Arroscia ed è una Doc che copre un’estensione di circa 40 ettari situata nell'entroterra ligure ed estesa sul territorio di due provincie, Imperia e Savona, con Pieve di Teco come centro amministrativo. Questa zona collinare situata tra la costa ligure ed il Piemonte, ovvero l’Alta Langa Monregalese, vede dominare non uve bianche ma un’uva rossa, l’
Ormeasco (chiaro il riferimento alla località piemontese Ormea, distante solo una ventina di chilometri da Pieve di Teco) che altro non è se non una variante ligure del Dolcetto. Esattamente un Dolcetto a raspo verde, un Dolcetto “di montagna” introdotto dai Marchesi di Clavesana, signori di Pornassio, intorno al 1300.
La Doc Ormeasco, che vorrebbe essere identitaria e territoriale, scade però nell’errore, parzialmente giustificato dalla ecletticità del vitigno che riesce comunque ad esprimersi bene comunque sia trattato, di prevedere tipologie tra loro assai diverse: dal Rosso, al Rosso superiore (affinamento 12 mesi contro i 4 del Rosso normale), rosato, denominato
Sciac-tra’, sino al passito e al passito liquoroso. Una tipologia che sebbene inserita nel disciplinare (ma chi l’ha voluta) pare non venga rivendicata dai vari produttori.
Chi sicuramente onora nel migliore dei modi l’Ormeasco e lo definisce “la grande passione dell’azienda, nella produzione e nella coltivazione”, con “vigneti su terrazze a 650 metri di altezza” di età variante dai 60 agli 80 anni, è uno delle più grandi e storiche cantine liguri,
Lupi a Pieve di Teco, circa 21 ettari di vigneto, che ne produce una versione in rosso, affinata in acciaio, una versione Superiore,
di cui scrissi giusto dieci anni orsono qui magnificandone la schiettezza e la complessità ed una versione, la meno nota, e ingiustamente, rosato, l’
Ormeasco di Pornassio Sciac-trà (nulla in comune con lo Schiacchetrà delle Cinque Terre) il cui nome é “frutto della contrazione di due termini dialettali come
sciac, sciaccare, ovvero pigiare, e
trà, ovvero tirar via, riferendosi alla classica vinificazione dei rosati che prevede una brevissima macerazione sulle bucce prima della svinatura.
Sbaglierebbe chi considerasse questo rosato, pensato per chi mangiando pesce desidera qualcosa di alternativo ed originale ai bianchi (e sugli umidi di pesce, ma anche su una parmigiana di melanzane, questo vino è fenomenale), solo un vino rosato di facile beva. E’ sicuramente un vino molto più ambizioso, visto che nasce da vigne di circa 60 anni, del vigneto denominato Trastanello, che si affina in acciaio e prevede una breve macerazione pellicolare in pressa della durata di 4 ore e una fermentazione a bassa temperatura per dieci giorni. Non solo uno dei migliori vini rosati liguri – l’amica Maresa Bisozzi dell’Enoteca Re di Dolceacqua mi segnalava recentemente che nell’area del Rossese sono nati diversi rosati molto interessanti – ma uno dei più singolari e personali vini rosati italiani. Io dopo anni che non lo bevevo l’ho trovato, stappato all’isola d’Elba dove mi trovavo in vacanza e dove l’avevo portato con me, veramente ottimo, ben riuscito, dotato di una beva veramente contagiosa.
Bellissimo il colore, un cerasuolo lampone squillante e luminoso con leggeri riflessi che viravano verso il granato, un colore integro e pieno di vita, e ancora più bello e fragrante e multiforme il bouquet, con note che dolcemente fruttate che richiamano ciliegia, lampone, albicocca, pesca gialla, una nitida vena floreale che richiama la rosa di bosco, e poi sfumature agrumate, di rosmarino, una punta leggera di menta e di liquirizia nera. Si va più in alto passando al gusto, con una bella rotondità succosa e polputa del frutto ed un carattere ben secco e asciutto dove si avverte una leggera vena tannica e grande equilibrio (l’alcol é lodevolmente contenuto in dodici gradi), una bella persistenza e ricchezza di sapore, una scoperta e golosa piacevolezza ed un finale di gran nerbo ed energia, freschezza, con una precisa vena salata e minerale, che esorcizza ogni rischio di dolcezza e mantiene ogni sorso ben teso.
Pensatela come la volete, per me uno dei migliori rosati 2012 bevuti, con enorme soddisfazione, quest’anno…DOC