Che cosa me ne farei s'io fossi Oste, di questo Inzolia integrale da Menfi, con i suoi 12 gradi emmezzo ribollenti di Sicilia? M'immagino un aperitivo di piccoli prodotti di forno, con erbaggi e verdurine; oppure un piatto di cose crude dal mare, cose dolci: ostriche no, ma un battuto di seppie, uno scampo. Fors'anche azzarderei, un salmone.
Che di salmastro e salivante, e di amaro ne ha già abbastanza di suo, e allora anche con formaggi bianchi e dolci, o delicati Brie.
Ecco cosa ne farei di questo limpido bicchiere, grigio pallido e giallo, indisciplinato e sciolto al vetro.
La nota marina è formidabile: per quello niente ostriche, che farebbe a capocciate. Ricorda quando ti chini tra gli scogli, a guardare un granchio o un'alga: ecco quell'esatto odore d'acqua fresca ma ferma. E roccia che fa materia.
L'antimateria è di frutto: la pesca bianca indietro di maturazione, un cerchio di fiori bianchi, mucchi di corda di canapa, una complessità che si dipana mentre il vino prende temperatura.
Il sorso s'accentra più attorno alle verzure, caratterizzato da quella vena amara di mandorla amara che lo attraversa da capo a coda: mai fermo, corre verso l'esito senza cedimenti, senza dolcezze, senza guardarsi indietro.
Un bicchiere a conferme d'un
assaggio casuale, nella Catania del 2007.