Se si dovesse scegliere un vino, uno solo per definire il significato dell'assaggio della parola "nettare", mai nessuno più di questo sarebbe adatto.
Una concentrazione feroce, che in oltre dieci anni di successivi passaggi tra appassimento, spremitura, affinamento nelle piccole e piccolissime botti distilla 150 litri di vino da oltre 30 quintali delle migliore uve Garrganega dai declivi di Gambellara.
Alle corte: uno spettacolare colore bruno, castano, quasi un nocino. Un profumo tonitruante di noci in gheriglio, di miele di castagno, alto, fitto e prolungato. Solo in finale s'esce con tracce di confetture, marmellate scure, datteri, spezie e un'iradiddio di folgori percussive. Ancora, balsamico, resinoso di colle a caldo, ancestrale di misteri alchemici.
Ma per chi avesse da riprendersi da tale knock-out aromatico, ecco l'assaggio a cui è indispensabile soccombere. Una sola stilla prenderà aparte all'espugnazione totale e definitiva del palato, conficcando su ogni singola papilla il seme dell'ebbrezza: un succo d'agrume, un liquore tenebroso di zuccheri caramellati, un infinito di dolcezze asciutte procrastinate nel finale con testardaggine assurda. Proprio lì sull'ultimo miglio, la sensazione netta delle prugne cotte.
Persistenza illegale, per un bicchiere folle: nella costruzione infinita, nel costo folgorante, nella sensazione prevaricante di un'esperienza con rari precedenti.
Memorabile.