Delle due cose che so del vino una la imparai da qualche parte in Campania, negli anni 'trenta del secolo scorso. Diceva, il vinosofo del momento, che sui terreni vulcanici la fillossera non attecchiva, e quindi quella particolare falanghina dei Campi Flegrei aveva il piede franco.
Forse non era falanghina, ma la faccenda del vulcanismo e del piede franco mi è rimasta ben impressa: tanto che leggere dei piedefranchi di Nerello Mascalese di quest'impresa caciorgnana sui fianchi della Montagna di Fuoco non mi impressiona.
Assai di più mi impressiona il rubino scarlatto dell'Anticchia, selvaggiamente vivo, brilluccicante di luce intrappolata tra le ombre del suo cuore sanguinante. E mi impressiona il naso selvaggiamente vivo, rutilante di carni frollate nei frigor, di fiori leggermente vizzi, di sguardi furibondi di femmine della Timpa.
E mi impressiona quell'unica nota deliziosamente dolce, nascosta tra le rugosità di una brezza selvaggiamente minerale.
Se vuoi cedere alla seduzione dell'assaggio, potrai inciampare in un tannino elettrico e testardo, a rimanere nel primo abbraccio di un sorso infinito e penetrante. Sorso che non rimonta ad altezze cosmiche ma che batte in testa grado per grado, conducendo squadrato e rigoroso ad un finale che pare accogliente senza essere consolatorio.
Sprudente bevibilità, per un clamoroso 14° che non t'accorgi.