Questa settimana il mio “rosati wine tour” mi ha portato in
Sicilia, nella zona sud orientale, in provincia di Siracusa e precisamente in val di Noto, nell’area della
Doc Eloro (nelle contrade “Buonivini” e “Barone”) in un’azienda di recente storia,
Marabino, nata nel 2002, che conta su trenta ettari di vigneto, allevati a spalliera per i nuovi impianti e ad alberello Pachinese, con una resa che va dai 40 agli 80 quintali ettaro, coltivati entrambe secondo il metodo biologico – dinamico. L’alberello pachinese ha una densità di 7.000 piante ettaro, ed è detto “impupato” poiché viene “liato”, ovvero si legano i germogli a un tutore di canna e poi successivamente è “mazzunato”, il che consiste nel piegare i germogli per inibire la dominanza apicale , come da antica tradizione.
Pachino è nota ai golosi soprattutto per il suo squisito
pomodoro ciliegino IGP, ma l’area di Pachino vanta una lunga tradizione per la coltivazione della vite, grazie a terreni di varia natura, pianeggianti e di collina, che vanno dal bianco calcareo, al nero argilloso, al rosso mediterraneo. Il clima è dolcissimo dall’autunno alla primavera, e d’estate diventa caldo arido con temperature medie tra le più alte dell’isola, questo territorio vanta di essere il più assolato d’Europa con cielo sempre limpido e terso. Pachino è stato per lungo tempo centro di produzione di mosti e vini in larga parte impiegati per il taglio di vini più blasonati, acquistati dal nord Italia e dalla Francia in grandi quantitativi e oggi l’azienda di cui voglio presentarvi un rosato, Marabino, si pone come obiettivo la sua riqualificazione. Anche mediante l’adozione, consapevole e non “modaiolo”, del metodo di coltivazione biodinamico, inteso come un “tentativo di governare la natura attraverso strumenti naturali generati dai processi di vita della natura stessa. La vite è messa in perfetto equilibrio con il suo ecosistema ed è in grado di ricambiare con i suoi magnifici frutti l’espressione di un territorio unico”.
Agricoltura biodinamica - ovvero senza diserbanti, senza trattamenti e/o concimazioni chimici e/o sintetici, trattamenti antiparassitari limitati a bassi dosaggi di rame (25% del dosaggio autorizzato REG CEE 2092/91) , zolfo e propoli; concimazioni limitate alle preparazioni biodinamiche, trinciato di potatura e sovescio di graminacee e leguminose - che prevede una gestione dei vigneti affidata all’agronomo Luca Gentile e Salvatore Marino, enologo con esperienze maturate in California e Nuova Zelanda.
Il vino che voglio consigliarvi è figlio di una varietà di uva emblematica della zona e della Sicilia come il Nero d’Avola di cui in azienda vengono prodotte due diverse versioni, il
Noto Nero d’Avola e l’
Eloro Pachino riserva Archimede ed è una versione rosata denominata Eloro Rosa nera, vino che l’azienda definisce “dedicato alle donne”, perché “richiama i profumi del fiore dell'amore, la rosa. Nera poichè ottenuta dal vitigno principe della Sicilia: il Nero d'Avola”.
La genesi di questo vino mi è stata raccontata dal proprietario della Marabino, il giovane
Pierpaolo, “il Rosa Nera è un vino che io ho fortemente voluto, frutto della mia passione per questa tipologia di prodotto, che oltretutto era prevista nella Doc Eloro. E’ un vino che non nasce dal classico e sbrigativo salasso, ma è stato studiato sin dalla selezione del vigneto da dedicare esclusivamente per la produzione di questo rosato”. Si tratta quindi di un vino ottenuto da un vigneto ad alberello di 30 anni, con una densità di 7000 piante ettaro, di circa un ettaro e mezzo, esposto a sud. Vigneto su terreno leggero molto calcareo con scheletro abbondante e tessitura fine: la parte calcarea con tessitura fine chiamata localmente "terra ianca", quella calcareo argillosa, definita "terra palomina". Potatura corta con tre speroni e due gemme con una resa di 50 quintali ettaro.
Questa vigna, mi ha raccontato Messina, “è la figlia del vigneto di Archimede, poiché si usarono le sue marze per innestarla. L’uva raccolta in piccole cassette viene diraspata e fatta macerare in pressa ad una temperatura di circa 10 gradi per 5/6 ore, quindi viene pressata molto soffice estraendo solo il mosto fiore ricco di acidi e aromi primari. Dopo una decantazione statica di una notte il mosto limpido viene fermentato ad una temperatura di circa 18 gradi con i suoi lieviti indigeni. Dalla fine della fermentazione alcolica fino al momento dell’ imbottigliamento viene conservato su fecce fini periodicamente rimesse in sospensione”.
Seimila circa le bottiglie prodotte per un prezzo, franco cantina, intorno ai sei euro. Il ripetuto assaggio, dapprima a giugno, quindi in questi giorni, mi ha confermato di trovarmi di fronte non solo ad uno dei migliori rosati siciliani, ma ad un rosato tra i più interessanti in assoluto oggi prodotti in Italia.
Colore cerasuolo brillante multiriflesso con leggera vena granata, naso espansivo, fragrante, con una bella nota di ribes e pompelmo rosa, notevole fragranza e ricchezza di sfumature aromatiche che richiamano macchia mediterranea e fiori, netta la rosa, attacco in bocca vivo, ben secco, direi scattante, di grande energia e vivacità con sviluppo continuo e dinamico, sempre su note ben asciutte, minerali, salate, con un frutto succoso sullo sfondo. Una bocca pulita e salata di bel nerbo preciso. da vino fatto per farsi bere bene a tavola, dotato di una grande duttilità d’utilizzo, che lo rende adatto ad accompagnare una vasta gamma di piatti, dalla pizza ad umidi di pesce, da primi piatti con verdure oppure preparazioni a base di pesce azzurro a quel capolavoro della cucina mediterranea che è la parmigiana di melanzane.