Al di là della mitopoietica dannunziana, il Nepente è un vino che seduce a cominciare dal suo nome, e da quella città spalmata all'ombra della rupe: rustica e struggente allo stesso tempo.
Non ho abbastanza parole a disposizione per descrivere un vino che è scuro senza affondare nel buio: come possa essere virile senza alcun tratto macho, mai. Ecco allora quest'idea di abbraccio tra vecchi amici, che si rivedono dopo molti anni, ridacchiano tra i denti e si danno potenti pacche sulle spalle. Perchè ha ancora tutto il suo rosso addosso, sanguinoso, ed ogni volta che lo annusi dice cose diverse: la prugna secca, ma anche una fungosità terrosa. Un fuoco d'alcool che ribolle senza arroventare, profondo, variegato. Solo alla fine la vaniglia, larga.
Il sorso giunge salvifico, ricco delle sue possanze. I tannini piovono spessi, lanosi, non privi di una sottile incisività: poi il sorso resta dritto, non perde una virgola di brillanza fino alla parte conclusiva ispirata, quasi aulica.
Bevibile, con il palato che subito si ferma in un gesto come d'arricciarsi, poi curiosamente si rilassa e finisce in un retrogusto allungato.
Bicchiere grandissimo, e massimamente supramontano.