Ogni volta che tolgo il sughero ad una delle bottiglie di Valpane faccio autocritica: cerco di abbassare il mio livello di indulgenza nei confronti di questo produttore di scarsa prosopopea ed elevata concretezza, di innata simpatia.
I suoi vini hanno una cifra riconoscibile di asciuttezza, di rigore che appare con clamore ad ogni assaggio. Vorrei essere più oggettivo, ma alla fine contuntubo l'oggettività e mi trovo a dire che anche il Rosso Pietro è buonissimo.
E' un Barbera - il maschile ahimè m'è venuto d'istinto - Monferrino, quindi capace di esprimersi più sottotraccia che nel dichiarato: fin dall'occhio oscuro - nero - bruno che n'attanaglia il cuore. Spento nella sfumatura, pur vivido nella profondità, come un fuoco senza fiamma.
Naso che non va per cicisbei: rustico fino alla sgarberia nell'attacco, con un principio selvatico che segna subito i confini, poi tutti quei segnali virili di fatiche e bevute serotine, di salami tagliati alti e pani cotti in biove colossali. I frutti neri sono celati là in fondo e vanno attesi e cercati. Il finale di sacchi di iuta, di covoni di fieno, di erbe campestri. Il totale secco come un pomeriggio di giugno, quando soffio il vento desertico.
T'aspetti la carica dei tannini, come i seicento di Balaclava: invece è solo un rullare di tamburi senza colpi di cannone. Allaga senza senza allappare. Poi il sorso viaggia stretto, non pretende la titalità del palato ma si contenta di appropriarsi del mezzo, di titillarlo con alcoli fitti (14°) e ben direzionati, e conduce verso un'uscita che prede il volo come aquiloni nelle giornate con il vento giusto. Curioso il seguito, interminabile, salivante, con una chiosa dolce come nettari di frutti arcani.
Non sono oggettivo, ma anche il Rosso Pietro è vino da avere. A tini.