Più che una ricetta, un canovaccio. 
Perché il risotto è  una poesia in rima baciata che ogni 10 kilometri si recita con accenti  differenti e differenti declinazioni. Per gli indigeni ovviamente, la  più azzeccata, salvo guardare con orrore i procedimenti proposti dallo  straniero, che sicuramente garantiscono un risultato pessimo tra i  peggiori. Da interpretare quindi come una Comedia dell'Arte,  improvvisando su solide basi, ma secondo l'umore, l'amore, l'ardore e  l'ardire.
 Vorrai invece avere un approccio un po’ meno massimalista e  un po’ più giacobino alla preparazione del riso, quando ti troverai tra  le mani una voglietta di risottino, magari una domenica novembrina, con  l’autunno permanente tra i ventricoli come un’angina non riconosciuta.
 Dunque t’alzerai da una julienne di cipolla, fatta andare nell’olio  vergine, evitando per una volta agli freschi o seccati che turberebbero  il dolceagro finale. Prediligerai una bella cipollona dorata, sfogliata  senza micragnosità dei primi strati: ma se hai sottomano cipollotti  bianchi o tropeani, una manciata di scalogno, una bella Bianca: le  listès.
 Unico imprescindibile dogma: casseruola d’alluminio Alto  Spessore Agnelli in cui tostare per non meno di tre minuti e non più di  cinque un etto di riso a testa per porzioni generosissime, e con fiamma  bella viva. Quale riso, lo dirà a tua preferenza: il croccante carnaroli  o il panciuto vialone, o l’introvabile sant’andrea. Eppur godibile con  l’operaissimo arborio. Ognuno ha una sua peculiare nuances, e con ognuno  di essi avrai enorme soddisfazione e sazietà, le listès.
 Irrorerai  poi con acqua bollente salata, che preferisco al brodo: ma se hai  piacere di brodi vegetali, carnacei o no, le listès. Prediligerai  l’acqua salata se vorrai distinguere le nitide differenze del cereale e  vorrai godere di Balsamici di altissima qualità, ma abbine la scelta.
 Scuole scismatiche su come bagnare il riso sulla fiamma che va. Lo  stile mantovano, tutta l’acqua in una volta, quello veronese, tenerlo  sempre tirato, e tutte le sfumature intermedie, le listès.
 Prediligerai due o tre mescite a cottura se vorrai tenere integro il  riso, e mescolerai con delicatezza se vorrai preservare le cariossidi da  traumi. Dovrai solo attendere che il riso sia morbido per aggiungere  due cucchiai di condimento balsamico, o, se sei abbastanza benestante  per consentirtelo, un cucchiaio di Balsamico Tradizionale Reggiano o Modenese, entrambi sublimi.
 Trailo dal fuoco ancora verde, unisci una bella manciata di Parmigiano Reggiano ben stagionato e passalo al cucchiaio di legno. Evitalo, il burro, che  t’amalgamerà tutto in toni nocciuola che per stavolta potremo evitare.  Se avrai saputo tenere il risottino un po’ all’onda, lo impiatterai con  mano ferma, aggiungendo, questo sì con rigore, tre goccie di Balsamico  Tradizionale Reggiano o Modenese, ora sì.
 Abbilo, se vuoi, con un Lambrusco Reggiano, quello della cantina d’Arceto “Migliolungo” è  spettacolare, o con un Sauvignon incline alla dolcezza d’animo, quello  atesino di Baron Widman o quello sincerissimo di Doro Polencic, Plessiva  del Friuli.