Ho appena scoperto cos'è la Fontina per davvero, grazie al prezioso carrello dei formaggi del Petit Restaurant, a Cogne. Niente a che vedere con quella fetta di plastica premasticata che spesso si trova nel banco dei freschi, ma un generatore di profumi intensi e profondi, capaci di variare a seconda dell'alpeggio, della stagione, della bovina al lavoro.
Chiedo al mio personal pusher di informazioni Fabrizio "
Enofaber" Gallino, un vero e proprio coltivatore diretto dell'amore per la Valle, che mi spedisce con raccomandazioni allegate a Pollein, a vedere come si fa il Fontina. O "La" Fontina, non ci giuocherei qualcosa di prezioso.
Sotto sera, è ancora primavera, si fanno avanti i conferitori a raccolta: muovono come birilli quei bidoni d'alluminio, che pesano si vede. Il casaro arriva, e inizia a tenere una strana contabilità fatta di numerelli e codici detti a mezza bocca, in quel
patuà così poco leggibile per il forestiero.
Il latte è da per tutto, soprattutto il suo profumo: resterà aggrappato alla memoria a lungo, così schietto burroso e fitto. Finisce nei pentoloni, fa le bolle, si scalda: poco. La mano del casaro è ferma, quando prende il caglio e lo versa, con misurini. Ma anche a occhio.
Le lame girano. Il casaro manifesta la sua sapienza solo in un momento preciso, che è la rottura della cagliata. Avverrà tra un'ora circa. Nel frattempo c'è da slegare le forme, che restano qui solo pochi giorni. I movimenti sono ripetitivi ma mai ugualli, come le forme: togli il peso, sfila il telo, gira la forma; metti il marchio, rimetti il telo, rimetti il peso.
Le mani sono lessate dal lavoro, grosse e morbide allo stesso tempo per il lungo contatto con il siero, spesso caldo. I gesti automatici e attenti.
Con la fotocamera in mano ti senti sempre fuoriluogo: sembra sempre che qualcosa o qualcuno debba essere dove sei tu. Ma dopo un'ora che sono lì a stiracchiare sorrisi e sguardi traversi, il casaro mi nota, e con un'occhiata luminescente mi chiede qualcosa. Chi sono, cosa ci faccio lì. Poi scopre che sono di Reggio Emilia, e il Parmigiano Reggiano diventa la Stele di Rosetta tra due popoli: prende in mano la "lira" - un pettine di fili d'acciaio - con cui frammenta la cagliata. Il formaggio che sarà si muove lento, dosando l'energia cinetica che lo porta in giro per la caldera. Infinite sfumature di bianco. L'arte del casaro è tutta lì, in quel movimento a mano: il resto è meccanica. Ma questo - dice - questo è sapere. S'aprono i sorrisi e compare una bottiglia di vino. E' notte ormai, avranno da lavorare ancora per alcune ore. Mestiere di fatica, fatica vera.
Ma a guardarli, a interiorizzare la stretta di mano liscia e ferma, non pare. E l'odore lattacido è cosa che sai già che ti manca subito.
N.d.A. Ringrazio la Società Cooperativa di Pollein per la pazienza e le immagini, e Fabrizio Gallino per il commovente interessamento.