Il Pastificio Felicetti ha diverse particolarità. Quella più clamorosa è di essere a Predazzo. Nell'immaginario collettivo la pasta chiama il Sud: è così potente la forza d'attrazione delle tradizioni meridionali, gragnanesi in particolare, da rendere quasi automatica l'associazione non ostante ci siano eccellenze ben altrove: Marche, Abruzzo, Toscana, Puglia, Sicilia, Veneto, Piemonte e mi dimentico sicuramente qualcosa. Felicetti invece sta a Predazzo, e non perde l'occasione per dire che Predazzo è il posto ideale per fare la pasta. La fonte del Latemar, 2000 metri di acqua purissima. E 100 anni di storia.
Riccardo Felicetti Si veste da
Willy Wonka e mi porta a fare il giro della fabbrica. Non ci sono gli Oompa Loompa, ma tanti bei computer sempre accesi. Sarà la mezz'ora più divertente degli ultimi otto mesi.
Prima il laboratorio, per vedere l'ossessione della materia prima: in parte per le feroci legislazioni in parte per la scelta di avere sempre sotto controllo - il cielo mi perdoni - la filiera. Sempre tutti i parametri strettamente analizzati, la materia misurata, pesata, numerata: perchè le macchine che fanno la pasta si nutrono di numeri, oltre che di farina.
Profumo di grano, da stordire nella sala dei silos. Il caldo umido del locale delle presse, dove semmai ti sorprende trovare meno rumore di quanto t'aspetti: i coltelli tagliano, le taglierine calano, i trasporti trasportano, i setacci setacciano quasi sussurrando. Poi un giro nel reparto
oreficeria: il deposito delle trafile. I poderosi masselli di bronzo in cui trovano alloggio gli inserti, piccole magie che trattano girano e curvano la pasta, come opere di orologeria su scala gigante.
Ma se parli di pasta non puoi parlare di spaghetti, che è il formato su cui si misurano i pastai: qui ho visto girare quelli verdi, agitati dai ventilatori come fili d'erba altissima. Poi gli essiccatori, il cui "cielo di spaghetti" era il luogo preferito del piccolo Willy Wonka Felicetti, quando era bimbo.
Felicetti asciuga la pasta in modo tecnologico: per scelta, in circa 8/12 ore, a cui vanno aggiunte altre 8/12 ore di "riposo" prima di confezionare il prodotto, per raggiungere i grado di umidità esatto. La medesima cura viene riservata per i prodotti di largo consumo, propri e
cobranded, sia per la linea speciale Monograno.
La parte di confezionamento è quella più razionale: robot, macchine antropomorfe, linee automatizzate alla ricerca dell'efficienza, e della miglior qualità di vita in fabbrica. Infine il nuovo, enorme deposito autoportante, totalmente meccanizzato: venti metri di altitudine di cui la metà sottoterra a sbanco. "Basso impatto" dice Riccardo, parlando di un investimento con tanti zeri da assorbire il fatturato di un mezzo esercizio. Senza paura.
Mentre mi sfilo il camice e la cuffietta - con un inserto in metallo, perchè così la si prende al
metal detector - mi accorgo che ho una riga di traverso nella faccia come una specie di sorriso [cit.], che mi resta anche mentre stringo la mano asciutta di Paolo: il Mastro pastaio. Sta seduto dietro ad una scrivania piena di disegni, schizzi a meno libera e tecnici. Ha una sorta di pacchero davanti a sè, con dei numerini scritti sopra. Ci sta rimuginando sopra da giorni, settimane. "Fino a quando non è convinto non si fa niente".
Ho giocato abbastanza con Willy Wonka, ora vado a guardare le foto. Che la Fabbrica della Pasta è una modella da schianto. Anche senza Oompa Loompa.