Il biglietto da visita di Benedetto Cavalieri è grande, perfettamente aderente alla sensazione di contemporaneità senza tempo che porti a casa dallo stabilimento di Maglie, praticamente alla fine del mondo italico.
Il biglietto da visita di Benedetto Cavalieri è scritto a mano, di pugno, come non si usa più. Poche parole esatte, che mi ricordano il suo modo di esporre le sue idee: così cristallino ed esatto, così privo di ombre ma ricco di penombre: quegli spazi di riflessione che un imprenditore saggio consente ai suoi interlocutori perché sa che da loro arriveranno indicazioni preziose, e vere.
"Ogni pacchetto di pasta venduto, deve accreditare il successivo". Una specie di motto di famiglia, proveniente dal capostipite di una generazione di imprenditori della pasta: la storia del pastificio Cavalieri non è quella di un pastaio che dal laboratorio è passato allo stabilimento, ma già nel 1918 era una fabbrica modello, con macchinari all'avanguardia e tutte le più recenti tecnologie.
L'ossessione della qualità è passata di generazione in generazione, e oggi Andrea - il figlio - racconta il suo ruolo in azienda. Dove la voce di Benedetto si incrina di commozione per l'orgoglio di fare la migliore pasta possibile, quella di Andrea è precisa e decisa nell'affermare la volontà di scrivere un futuro di prestigio.
L'ufficio è condiviso: assieme alle immense scrivanie vagamente borboniche, di legno scuro e profumato dal tempo e dall'uso, montagne di tabulati, schermi, stampanti. Ogni anfratto trasuda storia, annessa al presente da una inesausta volontà di recupero delle radici: una grande ristrutturazione in corso - a motori accesi - consentirà di mantenere lo stabilimento in centro. Un museo al secondo piano. E inalterata la qualità della pasta.
Al piano terra i silos interrati per il blend delle farine, riempiti a mano dai sacchi da 25kg senza l'ausilio di cisterne. I depositi del prodotto finito. Al piano di sopra i macchinari per la trafilatura. Aver la fortuna di vedere gli spaghettoni al lavoro: nell'ambiente caldo e umido l'odore della semola impregna le nari, il brontolio della macchina fa vibrare lo stomaco, il lento movimento di estrusione prelude alla danza dei lunghi fili, ancora elastici, sulle bacchette, in viaggio verso l'essicatoio. Un'onda, un vessillo, una bandiera che odora forte, un gesto giallo e caldo che conforta.
Alle spalle, articoli di modernariato, figli di un genio meno meccanico di quello disperatamente tecnologico dei tempi digitali: quei portelli che sembrano usciti da un Nautilus minore di B movies di mostri, quella linea di essicazione ideata per scomparti, lentissima, fatta apposta per il formato più pazzo: le ruote, un piccolo miracolo di pasta.
Sulla porta, la stretta di mano di Benedetto Cavalieri è ferma e gentile, la voce è profonda, e l'invito è imperativo: "Stavolta la lasciamo andare, comprendiamo i suoi impegni. Ma la prossima volta resterà con noi, parleremo con più calma".
Non ci penso nemmeno, ad andarmene, la prossima volta.