Dire a un tedesco “voglio un würstel” è come andare da un salumiere italiano ben fornito, un Falorni per esempio, e domandargli: “Mi dia un salame”. Oltretutto i tedeschi non usano il civettuolo diminutivo würstel (che da noi qualcuno storpia inesorabilmente in wuster o viustel) ma wurst, senza i famigerati due puntini sulla “u”. Potete constatarlo andando, per esempio, a Monaco di Baviera e facendo un giro nelle macellerie del celeberrimo Viktualienmarkt: weisswurst, rostbratwurst, debrecziner wurst e via dicendo.
Ecco, state attenti al termine “debrecziner”: significa “di Debrecen”, città ungherese, e per i curiosi identifica un wurst piccante dalla pelle spessa. Ne avete scoperta un'altra: i wurst si chiamano quasi sempre con nomi delle città dove sono nati. Wiener (quello lungo, normale color rosa), frankfurter (quasi la stessa cosa), nürnberger (piccolo e bianco), krainer (ossia di Lubiana, c'è anche a Trieste e si chiama salsiccia Cragno, rosso e affumicato), meraner (questo è tutto nostro, rosa e molto lungo) e molti altri: quasi ogni città d'influenza teutonica ha il suo.
Un lungo preambolo per farvi capire che il würstel non è solo un collettore di scarti di carne, come pensano i molti che hanno in mente soltanto le versioni industriali e impersonali. Il wurst è una cultura. Massimo Cis, trentino di Ledro, ne è interprete tra i migliori.
Il trentino parla italiano, ma lì a due passi c'era (e c'è) il Tirolo del Sud, con la sua lingua tedesca e la relativa cultura, anche mangereccia. Ecco dunque nascere i würstel di Massimo Cis che, seguendo le tradizioni locali, al maiale aggiunge anche carne bovina.
Anzi, più che di un'aggiunta si tratta di una caratterizzazione: il vitello e il manzo superano il 60% del totale. Il würstel bianco, simile al weisswurst che i bavaresi mangiano bollito a metà mattina, rigorosamente prima di mezzogiorno, contiene dunque anche carne di vitello: il risultato è delicato ed elegante, com'è lecito aspettarsi. Nel würstel classico la carne è invece di bovino adulto. Pure in questo caso, abbiamo un boccone ghiotto e corposo, davvero rispettabile, che manda al macero le idee negative ancora persistenti su questo salume. Accompagnamento? Chiaramente senape, magari quella dolce bavarese. E crauti con le patate.
Massimo, discendente da macellai che lavorano dal 1889 e che hanno anche conosciuto la deportazione in Boemia a causa della Prima Guerra Mondiale, è comunque devoto pure alla tradizione spiccatamente trentina. Ne fa fede la luganega, sia fresca (in questo caso, perfetta per la cucina) sia stagionata da affettare. In aggiunta, lo Speck, di grande bontà. E soprattutto la carne salada, gloria della valle dell'Adige.