Burger veg e hamburger tradizionale in sfida: qual è più sano?

Abbiamo messo a confronto calorie, proteine, grassi e sale di 100 grammi di macinato con la stessa quantità di una delle sue alternative vegetali più diffuse. In attesa che anche in Italia arrivi la carne blended

È una delle domande più ricorrenti da quando le alternative plant-based alla carne hanno iniziato a farsi largo fra gli scaffali dei supermercati, nelle nostre case, pure nelle cucine dei ristoranti. Soprattutto certe alternative, quelle capaci davvero di ricreare l’aspetto, il profumo, il sapore del cibo che vogliono riprodurre: qual è quello che fa più bene, fra un hamburger tradizionale e un burger di non-carne?

Il quesito nasce perché i burger plant-based, come dice il termine, sono fatti di verdure, solo ed esclusivamente di verdure. Quindi sono sani, no? Non esattamente, soprattutto quelli più recenti, quelli arrivati sul mercato (anche italiano) fra fine 2019 e inizio 2020, perché per renderli così simili alla carne, gli ingredienti vegetali che li compongono sono stati parecchio lavorati. E in certi casi pure “potenziati” con additivi, aromi e altre sostanze. Insomma, sono parecchio diversi dai burger vegetali cui eravamo abituati sinora, fatti di ceci, piselli, soia o altri legumi. Che sono decisamente più semplici, talmente tanto che li possiamo preparare anche da soli, a casa (qui c’è una delle nostre ricette Burger di soia).

Di che cosa sono fatti i burger di non-carne

Per capire di che cosa stiamo parlando, iniziamo dagli ingredienti. Abbiamo preso come esempio l’americano Beyond Burger sia perché è stato fra i primi di questa nuova generazione di prodotti sia per la sua facile reperibilità, sia perché è stato venduto tantissimo anche grazie alla pandemia da coronavirus (le ragioni le spiegammo lo scorso giugno con l'articolo Sì, il 2020 è stato davvero l’anno della non-carne: ecco perché ora la fanno tutti e che cosa succederà dopo): nella versione da 110 grammi, stando a quanto dichiarato online dal produttore, ci sono prevalentemente piselli, fagioli verdi, riso, olio di canola, olio di cocco, burro di cacao ed estratto di barbabietola rossa. Dai primi 3 arrivano i 20 grammi di proteine, dai secondi 3 arrivano i grassi vegetali, mentre l’ultimo serve per simulare il colore della carne.
Fonte: elaborazione Cucchiaio.it su dati Usda.gov

Non-carne vs carne, un confronto di numeri

Dal punto di vista alimentare, il difetto (grosso) della carne rossa è soprattutto che è ricca di grassi saturi: se mangiata in eccesso, può provocare l’aumento del colesterolo, con conseguenze sul cuore e sull’apparato circolatorio, e anche favorire l’obesità. Il problema è che i grassi saturi si trovano anche nei burger di non-carne, e in quantità non trascurabile.

I numeri aiutano a capire: a seconda del tipo di carne, un hamburger da 90 grammi contiene 4-6 grammi di grassi saturi; un burger di non-carne sta più o meno nel mezzo, con circa 5 grammi di grassi saturi. Insomma: se l’obiettivo è ridurre l’assunzione di questo tipo di sostanze, magari per abbassare il livello di colesterolo, molto meglio la carne bianca (2,5 grammi di grassi saturi ogni 100) o anche uno dei “vecchi” burger vegetali (1 grammo di grassi saturi ogni 70), forse meno appetitosi, probabilmente meno sostanziosi, ma sicuramente più sani.

Poi c’è la questione del sale, altro nemico delle nostre arterie. In questo campo, le alternative plant-based se la cavano malissimo, probabilmente perché hanno bisogno di “aiuto” per risultare saporite: un Beyond Burger ne contiene più o meno 350 milligrammi (il 15% delle dose quotidiana consigliata), un burger vegetale addirittura quasi 400, contro i 77 di un hamburger di “magro” e i 78 di un quantitativo paragonabile di carne bianca.

Sin qui, le cattive notizie. Ora vediamo le buone, quelle che riguardano calorie e proteine, che danno energia al nostro corpo e ci mantengono in forma: senza entrare nei dettagli sulla loro provenienza, un hamburger da 100 grammi fornisce circa 220-240 kcal e 13-14 grammi di proteine mentre un burger di non-carne arriva a 270-300 kcal e 20 grammi. Sempre per confronto, un burger vegetale è a quota 120 kcal e 11 grammi di proteine e uno di carne bianca sta a 170 kcal e circa 20 grammi di proteine.

L’altra alternativa: burger vegetali e carne “blended”

Come si vede, e come sul Cucchiaio abbiamo già scritto in passato, i burger plant-based non sono “sani” e non possono costituire la base dell’alimentazione di nessuno, esattamente come nessuno può vivere mangiando hamburger di carne rossa tutti i giorni, bere solo vino o solo bibite gassate, nutrirsi di solo cioccolato e così via. Il loro problema è che sono eccessivamente elaborati, che gli ingredienti che li compongono vengono talmente tanto “lavorati” da farli diventare cibo ultraprocessato (che cos’è e perché fa male, l’abbiamo raccontato qualche mese fa in: La mala-evoluzione del junk food: cos’è il cibo ultratrasformato, la tentazione da cui non riesci a liberarti). È talmente un problema che lo scorso novembre Beyond Meat ha annunciato 2 nuove varianti dei suoi celebri burger, entrambe più salutari dell’unica sinora in commercio: la prima ha il 35% di grassi saturi in meno rispetto a un hamburger tradizionale, la seconda addirittura il 55% in meno (questo li porterebbe intorno ai 3 grammi); inoltre, a tutte e due sono stati aggiunti minerali e vitamina B.

Questa è un’alternativa. L’altra, se si vuole ridurre il consumo della carne, è quella di scegliere i burger vegetali “di una volta”, che come si è visto sono parecchio più amichevoli nei confronti del nostro organismo, oppure puntare sulla cosiddetta carne “blended”.

In Italia ancora non è disponibile ma probabilmente lo diventerà nel corso del 2021. Il termine ricorda il whisky perché il concetto alla base è lo stesso: si mescolano e si uniscono insieme, per esempio, carne di manzo e funghi per creare un hamburger “misto”, oppure carne di maiale e cavolfiore. Perché? Per avere il sapore della carne senza bisogno di aromi, additivi e simili e insieme ridurre l’impatto inquinante della propria alimentazione. Fantascienza? Non proprio: negli Stati Uniti questi prodotti sono già in vendita e altri ne arriveranno, perché rispondono alle richieste dei sostenitori di due regimi alimentari che saranno fra i più diffusi nell’anno appena incominciato, quello flexitariano e quello reducetariano (ne abbiamo scritto qui: Che cosa mangeremo (e come) nel 2021? 12 tendenze e novità dell’anno post-pandemico, insieme con altri 11 trend del cibo per il 2021).

Chi sceglie la non-carne e perché

Ma allora a che servono i burger di non-carne, se sono (poco) sani più o meno come un hamburger tradizionale? Chi è che li mangia? Per rispondere è necessario fare un passo indietro e capire quali siano davvero i motivi per cui si decide di mangiare meno carne e magari di diventare vegetariano (qui ci sono: Le 25 ricette con le verdure di gennaio ) o vegano (Ecco 20 ricette vegane favolose perché siamo in Veganuary, anche se non lo sai). Perché raramente la salute personale è la prima “molla”: più spesso lo si fa per ragioni legate al benessere degli animali o all’ambiente, visto che la produzione di cibo di derivazione animale è molto, molto inquinante per la Terra (l'abbiamo visto in: Quello che mangiamo è quello che inquiniamo: così la nostra alimentazione influisce sulla nostra “carbon footprint”).

E quindi? E quindi, nella fase di passaggio da un regime alimentare all’altro, questi prodotti possono aiutare a non sentire la mancanza (o sentirla di meno) dei sapori che si stanno abbandonando. Allo stesso modo, permettono a chi alla carne proprio non vuole o non riesce a rinunciare, di ritrovarne il gusto in un burger decisamente meno impattante dal punto di vista dell’inquinamento. E anche, una volta ogni tanto, ci consentono di concederci un po’ di quel junk food che tanto ci piace e altrettanto è dannoso per il nostro corpo. Perché no: etico non vuole sempre dire sano…

Emanuele Capone si è formato professionalmente nella redazione di Quattroruote, dove ha lavorato per 10 anni. Nel 2006 è tornato nella sua Genova, è nella redazione Web del Secolo XIX e scrive di alimentazione, tecnologia, mobilità e cultura pop.

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