La pizza fritta è uno dei più popolari street food di Napoli. Una delle pizze iconiche della tradizione, con un classico ripieno di pomodoro San Marzano, mozzarella fiordilatte e basilico fresco. Leggi tutto
Ieri sera Pier Luigi Roscioli è stato il protagonista della puntata di Masterchef noi lo avevamo incotrato nell’antico forno di Via dei Chiavari, una tappa di formazione preziosa per chi si occupa di lievitati, ma anche per chi sta costruendo un progetto, per comprendere che la ‘narrazione’ di una storia di successo, il più delle volte, parte da molto lontano.
Da Montemonaco, per la precisione, sui Monti Sibillini. Da qui parte Marco, il papà dei fratelli Roscioli che conosciamo noi, quando è ancora un bambino e ha appena fatto l’esame di quinta elementare, nel ’59. È seduto su una Giulietta accanto allo zio Umberto, è emozionatissimo perché va a Roma e forse già sente che questo viaggio sarà la sua svolta.
Fatica e tenacia, infatti, porteranno il piccolo Marco a diventare prima lo steward di Giuseppe Saragat (l’allora Presidente della Repubblica Italiana) e poi il capostipite di una dinastia che ha lasciato il segno nella storia della panificazione nazionale e internazionale.
“Mia nonna aveva 11 fratelli maschi, tutti panettieri originari delle Marche”, ci racconta Pierluigi Roscioli. “Il primo, Franco, emigra negli Stati Uniti, e quando torna si porta una macchina per tagliare il pancarrè e la margarina, un ingrediente che in Italia ancora non si usava, lo chiamavano il burro vegetale”. Franco era convinto di lanciare il pancarrè, ma la sua fortuna la fece con la pizza romana, di cui identifica e codifica impasto e ricetta. "Lui è il primo a fare un impasto a parte", spiega Pierluigi. Capiremo più avanti cosa significa.
Schema utile: Franco era il fratello di Umberto che guidava la Giulietta (tanto per non per confonderci dal primo capitolo). Umberto, il fratello di Jolanda, la mamma di Marco (il bambino che va a Roma e lavora con Saragat). Marco, marito di Rita, è il papà di Pierluigi e Alessandro. Vorremmo scriverla tutta così questa storia, non è bellissima?
La peculiarità della pizza romana è che nasce nei forni. “Ha bisogno di un forno da pane per essere originale, il più aderente possibile alla tradizione. La cottura della pizza romana è molto simile a quella del pane, lunga: 12-14 minuti a suolo diretto”, specifica Pierluigi (ndr, si dice 'a suolo diretto' quando la cottura avviene senza la teglia a separare l’impasto dal suolo di cottura).
Per capirne le origini bisogna tornare al primo dopoguerra, quando la pizza romana si diffonde in maniera massiva. “Allora nei forni si facevano due o tre tipi di pane: uno casareccio a basso costo, le ciriole, tipico pane romano (che Roscioli produce ancora, per affezione forse, perché il consumo si è notevolmente ridotto) e del pane condito, all’olio. Gli impasti, naturalmente, venivano lavorati tutti a mano”. Per capire il valore che aveva il pane in quei momenti, dobbiamo considerare che in Italia se ne consumavano pro capite dagli 800 g al chilo, al giorno, oggi ne consumiamo 100 -120 g pro capite al giorno, compresi i prodotti assimilabili al pane, come crackers e grissini. Un confronto stupefacente.
“Perciò, di pane se ne faceva davvero tanto, e nei laboratori la tecnologia era ed è quasi inesistente: forno, impastatrice e uomo. Si impastava molto, in più persone, in una finestra di 3-4 ore, prima l’impasto era troppo fresco, sotto fermentato, e dopo era sovra fermentato. Recuperando la punta e la coda degli impasti si faceva la pizza bianca”.
È così che nasce, con una funzione di recupero dell’impasto che, altrimenti, sarebbe andato sciupato “e invece viene schiacciato, condito con olio di sansa e sale”. L’olio di sansa, per chi non lo sapesse, è un prodotto di scarto, la sansa è una specie di purea di frammenti di nocciolino, residui di polpa di olive e bucce, ciò che resta dopo la spremitura delle olive. "L’olio di oliva a quei tempi era troppo pregiato per la pizza!". “L’impasto finiva in forno, si cuoceva a metà e poi si riscaldava. Così nasce la pizza bianca e con la crescita economica del paese migliorerà la qualità degli ingredienti inseriti nel ciclo produttivo”.
Siamo nel primo dopoguerra, abbiamo detto, ora torniamo negli anni '60, da Franco che è il primo a staccare la pizza dall’impasto del pane, a darle indipendenza, e allora nasce la pizza bianca come la conosciamo oggi, più idratata e leggermente più condita.
E così, continua Pierluigi, la pizza romana “passa da sottoprodotto del pane a prodotto vero e proprio, fino a diventare il vero street food romano, quello che si comprano i bambini prima di entrare a scuola. Oggi vediamo tanti sottoprodotti della vera pizza bianca, mentre questa ha come presupposto base quello di essere fatta nei forni da pane”, il concetto da cui siamo partiti. Forni di cui è particolarmente importante la profondità, “perché la pizza deve essere stirata sulla pala, scaricata e allungata, e l’allungamento che subisce nel forno gli dà la sua peculiare croccantezza”.
Intanto hanno una cosa importante in comune: l’impasto per entrambe le pizze è lo stesso, come il tempo tra impasto e prodotto finito, che va dalle 24 alle 36 ore. Entrambe nascono con approccio nazional popolare anche se sono soggette ad altre interpretazioni, “le pizze bianca e rossa mantengono il loro taglio popolare. Il bambino, la signora o l’operaio con 1 euro si devono sfamare”.
La pizza bianca ha una duplice funzione, essere mangiata così olio e sale, in modo semplice oppure essere spaccata e farcita. "A Roma, la merenda è pizza e mortadella. Perciò deve avere uno spessore maggiore, rispetto alla rossa, per essere spaccata in due con il coltello e farcita con quello che si vuole. Qui siamo vicini al ghetto ebraico dove si è sempre farcita con fiordilatte, olio, sale e pepe e si rinfornava. La chiamavamo pizza alla giudia. Una pizza molto gustosa".
"La pizza rossa è molto sottile e molto croccante. Gli ingredienti fondamentali sono due: pomodoro e olio. Per questo è una pizza che non accetta compromessi. Per diventare così sottile e croccante ha bisogno di una doppia cottura: dopo una prima cottura in forno, viene tolta dal forno e messa a riposare su una rastrelliera bucata; così perde l’umidità che ha, perché rispetto a quella bianca ha l’umidità del pomodoro. Quando si è raffreddata viene nuovamente infornata e il pomodoro a questo punto si asciuga. Sta alla bravura del fornaio capire il momento giusto, quanto il pomodoro rischia di diventare troppo secco e insipido".
Conclude Pierluigi: "Sono prodotti semplici, assimilabili al pane, che nascono per esaltare i loro condimenti, olio e sale in quella bianca, pomodoro in quella rossa".
“È un’altra cosa, un altro prodotto, che viene portato a Roma dopo la guerra, dagli abruzzesi, soprattutto da Terni. A Roma arrivano le prime pizze che si chiamavano rustiche (non si chiamavano in teglia), erano la trasposizione della torta al testo umbra che condita diventa un’altra cosa. Si può fare in spazi più piccoli, c’è una comodità di lavorazione più ampia". Abbiamo cambiato discorso, torniamo a noi.
"Tutto si può fare. A casa si può fare ma l’aderenza di un prodotto alla sua storia è quello che vedete qui. È come staccare la pizza napoletana da cotture molto veloci. I forni di casa oggi sono più prestazionali di 10 anni fa, ma non hanno la tenuta termica di un forno professionale". Che a noi è suonato un po' "lasciate perdere". E noi siamo molto d'accordo, ci chiediamo spesso perchè siamo invitati a rifare tutto a casa, dai dolci più esclusivi alla pizza romana, perchè alimentiamo la spinta a imitare qualunque prodotto scavalcando anni di ricerca delle materie, dei tempi, dell'equilibrio dei sapori. E poi, chi ha il tempo di farlo?
La storia che vi raccontiamo non finisce qui. Ci sono tanti aspetti interessanti nella saga dei Roscioli, anche guardando i numeri. Roscioli sforna 3 quintali di pizza al giorno, 23-24 quintali di prodotti da forno.
La pizza bianca è la più venduta perché viene consumata anche al posto del pane. Le proporzioni sono 40% bianca, 30% rossa e 30% in varianti farcite. Il gruppo ha 150 dipendenti, anche se Pierluigi dice ‘siamo comunque dei bottegari’.
La notizia con cui vogliamo chiudere è che la salumeria di Roscioli presto aprirà a New York, a Soho, dove si potrà mangiare anche la pizza e mortadella. A New York, dove Pierluigi, alla fine degli anni '80, vede nei bancorni di Dean & DeLuca i primi riflessi del suo futuro.
Nota: se la storia vi ha preso potete leggere Elisia Menduni, Roscioli, la cucina e Roma. Giunti, Firenze, 2016.
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