Scavalli il confine del Piemonte, ed è ancora Nebbiolo: questo tutto arrampicato sulle vigne verticali, tenute insieme da muretti e terrazzi. Impossibili da macchinare, e quindi costrette a produzioni di piccoli numeri. Questa la prima etichetta della cooperativa.
Nebbiolo, dunque, nebbiolo e un saldo di Freisa e di Neyret: portato a spalle, pigiato, lasciato nei grandi legni, atteso, e riposato nel vetro. Ha il rubino limpidissimo, appena spento, appena ispessito verso un tono di sanguigna. Eppure glicerico e materico.
Quello che esprime il bicchiere sta preciso e concentrato in una casella speciale della piacevolezza: quella diritta e senza fronzoli, quella del lampone ma anche della susina fresca, degli angoli muschiosi dove dipartono le radici degli alberi. Della freschezza fumosa delle sigarette al mentolo. Del viaggio iperpaziale di una manciata di terra e aghi di pino.
Poi t'avvicini all'assaggio che fibrilla fin dal primissimo istante in piccole scosse elettriche, decise. Sapessi bene come sono gli agrumi amari direi che riluce della fulminanza degli agrumi amari: il bergamotto, il chinotto. Rotola felice e serio sul palato portandosi dietro umbratili freschezze, giornate di pioggia e camicie di lana messe ad asciugare. Amabile fino al confine dell'adorazione, ma non perchè è dolce.
Bicchiere che ti vellicherà l'idea di amarlo per sempre.