Il bicchiere è vuoto, la bottiglia leggera. Ne vorresti 48 nella tua cantina, per aprirne una ogni tanto e vedere cosa succede a questo Luvaira nella seconda e terza età.
Perchè ora ancora scalpita, tra i vetri: nel flacone e nel calice. Tracima, fugge, s'agita. E' il ragazzo impertinente, ma con tanto talento dentro che quando si ferma a riflettere parla come un vecchio saggio. Poi si riprende e scappa via, in sella ad uno struzzo, o a una Lambretta 50.
Rosso scarico. Trasparente. Friabile. Appena venato di materia. Nasuto, ma poco: dei frutti che trovi, il melograno. Cose inerti, come le tappezzerie delle ottomane delle case di campagna: ma sempre pronte a prendere vita con un raggio di sole. Ancora stretto, imbutito in una serietà compresa ma non compressa. L'alcool, enorme al numero, si fa garbato. Riccioluto, più che imperioso.
Poi l'assaggio, che rotola verso l'alto. Come, dirai, Così. Salendo senza pieghe su una linea di sale, poca polpa, un gomitolo dimenticato in un angolo, il frizzìo di un limone, il brivido del tannino dolce, ma solo un po'. Un finale durevole, valevole, probabile.
Un bicchiere gioioso, il più gioioso tra quelli belli di Maccario. E ne vorresti 48 bottiglie, per aprirne una ogni tanto per capire che fazza avrà più avanti. E che lingua pallerà da vecchio.