The Bruery è un birrificio di Orange, California, che a colpi di buone birre ci ha messo davvero poco a scalare le classifiche di preferenza degli appassionati di birra più sfegatati: partito solo nel 2008, oggi è già birrificio di culto.
Gli stili di birra prodotti nonché la chiave marketing - siamo negli USA e chiamiamo le cose col loro nome - ricalcano la tradizione dei birrifici familiari del Belgio. Proprio a quello allude il "Famille Rue" che capeggia su tutte le loro etichette, cosa che fa un po' sorridere leggendo la lunga lista dello staff del birrificio e pensando alle differenze fra le lussureggianti e piovose foreste della Vallonia e le spiagge assolate dell'O.C. - sì, proprio il telefilm benestante e patinato in onda qualche anno fa. Riguardo a The Bruery però il fumo commerciale finisce qua, mentre di arrosto ce n'è davvero molto: sono molti i prodotti di qualità sfornati in questi anni, alcuni davvero eccellenti e vincitori di qualche prestigiosa medaglia. In realtà, pur essendo concentrati su un'impostazione di stampo belga, non mancano prodotti più tradizionalmente americani - strepitosa la loro American Lager - e troviamo persino stili inusuali come una Berliner Weisse nel loro portafoglio. Li ha portati sugli scudi l'eccellente lavoro svolto in questi anni con le botti, che ha prodotto un florilegio di etichette e sperimentazioni: difficile coprirle tutte. Ci sono stato, ho assaggiato qualcosa e prima o poi ne racconterò.
La 3 French Hens fa parte di un "progetto" di 12 birre natalizie del quale rappresenta il terzo capitolo. È una Belgian Dark Strong Ale - qualcuno dice Quadrupel, un termine oramai sull'orlo dello sdoganamento, specie negli Stati Uniti - della quale il 25% ha beneficiato di un passaggio in botte di rovere francese. Uscita e assaggiata nell'inverno 2010 mi era risultava un po' legnosa e astringente e così, dopo un paio d'anni di riflessione, mi torna ora sul desco. Tonaca di frate e alcolica coi suoi 10%, come vuole lo stile di riferimento, la schiuma è nocciola e di media persistenza. Il tempo ha svolto un buon lavoro, arrotondando un po' gli spigoli senza portare mollezze o ossidazioni. La ricchezza è quella che ti aspetti dallo stile, con un ricco piano-sequenza di sensazioni gustative che scorrono: il caramello, la pera cotta, l'uva sultanina, la prugna, un po' di frutta secca, la polvere di cacao, un leggero torrefatto. L'etilico è pungente, ma piacevole e riscaldante, mentre le astringenze sono sì più levigate, ma sempre presenti. Al palato la dolcezza, la struttura e la morbidità prevalgono sulla maggiore secchezza delle interpretazioni trappiste ortodosse: per gli esperti, più che sul terreno della Westvleteren 12, siamo dalle parti di una Pannepot di Struise. La speziatura, ben evidente senza debordare, aggiunge un livello di complessità e aiuta a pulire il palato nel finale retrolfattivo: nel bouquet suggestioni di cannella, noce moscata e zenzero donano una sensazione complessiva di panpepato che potrebbe rappresentare un degno abbinamento gastronomico. Bevuta gratificante.