Chi mi conosce lo sa. Sotto sotto sono un vecchio nostalgico del web 0.0, quello arcaico in cui il campo da gioco (o il ring se preferite) era circoscritto dalla tabella dei codici ASCII. Quello dei newsgroup per capirci. E Filippo Ronco non è mica uno qualsiasi. Non è un semplice dinosauro del web sopravvissuto più che brillantemente al Permiano-Triassico, ma addirittura è il fondatore di IDR (it.discussioni.ristoranti), padre nobile di un intero movimento, come lo fu Max Faraggi per il nascente mondo brassicolo fondando l’oramai defunto IHB (it.hobby.birra). E se Ronco
commenta dicendo che grazie ai miei scritti
“intravede la possibilità di avvicinarsi ad un mondo che vuole davvero esplorare” allora io, gongolante e adulato, non posso esimermi dal proporre la mia personale
seleção, una birra per birrificio, prima di incominciare a pontificare forte della mia proverbiale facondia. Va bene documentarsi, ma innanzitutto tutto – fondamentale! – incominciamo a bere.
Che non si dica come al solito che sono antipatriottico: ho pescato esclusivamente entro i confini del Belpaese. Fuori l’oceano è troppo vasto. E comunque non date retta ai disfattisti, sapendo scegliere a casa nostra si beve in maniera egregia. Sono tutti (o quasi) prodotti che si possono trovare con un minimo di ricerca o di gasolio. Ho anche inserito un’idea di classificazione in stile, tanto per non brancolare proprio nel buio.
Disclaimer di un’ovvietà disarmante. Non sono l’oracolo di Delfi. Ognuno ha i suoi gusti. Non conosco tutte le birre artigianali italiane e mi muovo quindi nel campo del mio scibile. Mi riferisco a birre fruite in condizioni ottimali. Non è una classifica. Vale a dire:
l’ordinamento è del tutto casuale.
1.
Tipopils – Birrificio Italiano (Pils). Perché un amico publican mi dice sempre che è la birra che si porterebbe sull’isola deserta. Ed io la penso come lui. Preferibilmente alla spina.
2.
Xyauyù – Baladin (Barley Wine). Perché è una birra sublime e rivoluzionaria che scardinerà ogni vostro preconcetto vinicolo. Alla richiesta del conto è probabile che il cameriere si presenti impugnando una Makarov e indossando un passamontagna.
3.
ArtigianAle – Bi-Du (American Strong Pale Ale). Perché ha insegnato a tutti gli italiani cosa sono le Ales amare e il tempo non ne ha scalfito il fascino.
4.
Sticher – Grado Plato (Sticke, gli americani la chiamerebbero Double Alt...). Perché adoro le produzioni filotedesche caramellate con luppolatura chirurgica ed elegante (e magari europea, ma anche no). Perché non la assaggio da un pezzo, mi arrivano purtroppo notizie di prima mano sconfortanti e avrei tanta voglia di ritrovarla come la ricordo. In panchina pronta alla sostituzione
Toccadibò - Birrificio Barley (Belgian Tripel), un pezzo di Fiandre in mezzo al Mediterraneo.
5.
Madamin – Loverbeer (Sour Ale). Perché mi piace l’idea di questa birra d’ispirazione fiamminga prodotta in tini di rovere, vinosa, complessa e originale senza essere pretenziosa. E perché Valter Loverier è uno da tenere d’occhio. Produzione laboriosa, prezzo importante.
6.
Martina – Pausa Café (Fermentazione spontanea alla frutta). Perché una birra a fermentazione spontanea così buona fuori dal Belgio non la fa nessuno, o quasi. Da ritrovare, sperando che la natura di ripeta.
7.
Dolii Raptor – Montegioco (Sour Ale). Perché scoprirete il lato buono del brettanomyces e dei batteri lattici, e perché la distanza fra vino e birra a volte è più breve di quanto si pensi. Produzione laboriosa, prezzo importante.
8.
Ortiga – Birrificio Lambrate (Golden Ale). Perché è la perfetta sintesi delle session beers inglesi e americane, un abbraccio trionfale di amaro e di goduria. A pompa inglese.
9.
Seta – Birrificio Rurale (Witbier/Blanche). Perché non amo lo stile e questa non usa nemmeno il lievito canonico, ma se
Pierre Gobron dice che una blanche così non si trova neanche in Belgio c’è da credergli.
10.
Blond – Extraomnes (Belgian Blond). Perché una volta un publican mi ha detto che è la fotocopia della Taras Boulba, e se letta così vi può sembrare una critica, vi assicuro che era un gran complimento.
11.
Imperial – Maltus Faber (Russian Imperial Stout). Perché è una imperial stout di classe che preferisce parlare cockney piuttosto che smerigliarvi le papille per ottenere ululati di piacere.
12.
Zona Cesarini – Toccalmatto (Pacific IPA). Perché nonostante la luppolatura non c’entri quasi niente, è la birra italiana che più mi ricorda la stoffa delle immense IPA della West Coast americana. Non proprio da passamontagna, ma non è escluso che vi torcano un braccio al momento di scontrinare.
13.
Ultima Luna – Birrificio del Ducato (Barley Wine). Perché è una birra da cinema, dove il vinoso della botte caratterizza senza dominare ed una volta nella vita si può anche sciallare. Sempre che la troviate: me l’hanno proposta come un Gronchi rosa. Ricordatevi la carta di credito ed un fazzoletto per asciugarvi le lacrime.
PS: sì, mi piace anche la
Reale del
Birrificio del Borgo ma così diventava la schedina del Totip+ ed io non sono né il Varenne né il Bukowski della birra italiana.